Lo spallone che riciclava i soldi creò la fondazione di Melandri
by redazione | 11 Dicembre 2014 9:14
ROMA Avevano tentacoli ovunque, erano capaci di infiltrarsi in ogni affare, di sfruttare qualsiasi occasione pur di avvicinarsi al potere e così continuare ad arricchirsi. E lo facevano anche attraverso i commercialisti incaricati di riciclare il denaro, facendo perdere le tracce delle «mazzette» versate a politici e funzionari pubblici. Un «sistema» messo in piedi, secondo i magistrati romani, da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi. Si scopre così che Stefano Bravo, specializzato nel trasferimento dei capitali all’estero per conto dell’organizzazione, è uno dei soci fondatori di «Human Foundation», l’organizzazione che fa capo a Giovanna Melandri, ex ministro dei Beni culturali e dello Sport per il Partito democratico e ora presidente del Museo Maxxi di Roma. Filippo De Angelis, che i boss chiamavano «il banchiere» per la sua capacità di muoversi tra le fiduciarie di San Marino, aveva invece favorito in un affare immobiliare l’amministratore delegato di «Hera spa», gruppo specializzato nella fornitura di energia che opera soprattutto in Emilia. Nuovi dettagli stanno emergendo dall’agenda sequestrata durante le perquisizioni a uno dei collaboratori di Buzzi: nomi dei percettori e importo delle dazioni sono infatti annotati in chiaro. E proprio su questo si concentrano adesso i controlli dei carabinieri del Ros.
I viaggi in Svizzera
I magistrati assegnano a Bravo un ruolo chiave e gli contestano l’accusa di riciclaggio. Il commercialista ha contatti costanti con Luca Odevaine, membro della commissione del Viminale che si occupa di immigrazione anche lui finito in carcere. Gestisce i suoi conti, porta i soldi in Svizzera, fa altri viaggi per conto dell’organizzazione. Adesso si scopre che aveva un incarico importante anche nella «Human» visto che ha contribuito a farla nascere. Ieri, improvvisamente, la sua foto e il suo curriculum sono stati rimossi dal sito Internet ufficiale. Ma nessuno può negare quanta importanza abbia avuto e infatti Melandri chiarisce: «È il mio commercialista da quindici anni. Sono addo-lorata ma anche furiosa per quanto sta accadendo. L’8 dicembre gli abbiamo inviato una lettera per chiedergli di lasciare ogni incarico, sia pur nella speranza che possa chiarire la propria posizione. Gli abbiamo scritto che la nostra principale preoccupazione è il danno per la fondazione che nasce sul presupposto della totale trasparenza e innovazione nelle politiche sociali». Nega invece che abbia svolto attività per il Maxxi: «Nessun contatto, mai».
Il «banchiere»
Pure l’interesse di De Angelis, anche lui strategico per gli investimenti dell’organizzazione, si indirizza su livelli alti. Una traccia interessante arriva da una segnalazione di operazione sospetta trasmessa da Bankitalia nel 2013 che coinvolge l’amministratore delegato di «Hera spa» Stefano Lappi, accusato dagli ispettori di via Nazionale di aver utilizzato De Angelis come prestanome. L’operazione risale al 2009 quando la società «Sil srl» chiede un finanziamento per comprare uno stabile di «Hera spa». La relazione tecnica di Bankitalia denuncia: «Emergeva come la stessa “Sil srl” fosse stata costituita poco prima dell’acquisizione dell’immobile Hera (agosto 2009) e che al momento dell’accensione del finanziamento, e quindi dell’acquisizione della proprietà immobiliare, il capitale sociale era detenuto formalmente da Filippo De Angelis e Filippo Donati, ma di fatto era controllato indirettamente dalla fiduciaria Fidens Project Finance, in quanto ne possedeva le quote in pegno. Successivamente all’acquisto dell’immobile le quote della “Sil srl” venivano cedute a nuovi soci: il 20 per cento a Lappi, all’epoca presidente della Hera Energie di Bologna e l’80 per cento alla Eco Termo Logic srl».
«Hera spa» non cambia sede, preferisce pagare un canone di affitto trimestrale di 53 mila euro che, dunque, finiscono proprio nelle tasche dell’amministratore delegato.
Il «capo»
A leggere le trascrizioni delle conversazioni, emerge come Carminati controllasse personalmente con Buzzi i flussi finanziari e la gestione degli affari. Questa mattina il tribunale del Riesame dovrà decidere sul suo ricorso contro l’ordinanza di cattura. Gli avvocati Bruno e Ippolita Naso contestano la fondatezza del reato di 416 bis «ma — dicono — non abbiano nessuna fiducia, i giudici non hanno avuto neanche il tempo di leggere gli atti. Andremo a processo, nessuno si illuda sul patteggiamento». Protesta il legale di Buzzi, Alessandro Diddi: «Il mio cliente è stato trasferito nel carcere di Nuoro, una misura afflittiva sinceramente ingiustificata, soprattutto in questa fase dell’indagine». La battaglia tra accusa e difesa è appena cominciata.