«Volevamo braccia e sono arrivati uomini» era il titolo del dossier presentato da Amnesty International nel 2012. Il “sistema” chiedeva manodopera da sfruttare al costo più basso possibile. Arrivavano invece esseri umani dotati di storie personali e dignità. Una cosa impensabile appena duecento anni fa, quando le navi negriere attraversavano l’Atlantico per trasportare schiavi dall’altra parte dell’oceano. Qualcosa di molto simile a quanto sta avvenendo nella nostra epoca tra una sponda e l’altra del Mediterraneo. Gli unici cambiamenti intervenuti nel frattempo sono stati il cabotaggio degli scafi, il fatto che i migranti non provengono più solo dall’Africa e la necessità ufficialmente riconosciuta della migrazione: prima gli schiavi li ammazzavano durante il rapimento, oggi invece li ammazzano in un modo più “soft”.
E allora quelli di Amnesty International, l’organizzazione che si occupa di diritti umani a livello internazionale, hanno deciso di predisporre un secondo dossier dall’eloquente titolo: Lavoro sfruttato due anni dopo — il fallimento della «Legge Rosarno» nella protezione dei migranti sfruttati nel settore agricolo in Italia.
La «legge Rosarno», per intenderci, avrebbe dovuto contrastare lo sfruttamento proprio dei lavoratori migranti in agricoltura. Cioè di quegli uomini che per sopravvivere sono costretti a svolgere lavori sottopagati, stagionali e temporanei. Uno sfruttamento che finisce direttamente nel prezzo di acquisto dei prodotti che compriamo al supermercato. In questa “eccellenza” spiccavano le aree di Latina e Caserta. Nel primo dossier furono documentate paghe inferiori al salario minimo contrattato, la riduzione arbitraria dello stesso salario, pagamenti ritardati o del tutto assenti e lunghi orari di lavoro. Tutte promesse e premesse di numerose violenze e intimidazioni di stampo mafioso poi regolarmente applicate. Coinvolte, oltre ai migranti pontini e casertani, anche le loro famiglie.
Il quadro drammatico di questa disumana vicenda è stato integrato da un altro dossier: Doparsi per lavorare come schiavi predisposto dall’associazione In Migrazione relativo all’uso di sostanze dopanti da parte dei braccianti indiani migrati nell’Agro Pontino; i più sfruttati e fragili nel sopportare le violenze e i ritmi imposti loro dai caporali e dai relativi “padroni” italiani. Amnesty ricorda che secondo il diritto internazionale l’Italia ha l’obbligo di rispettare, proteggere, realizzare e soprattutto applicare i diritti umani di tutti i lavoratori migranti. Questi devono poter presentare denuncia, a prescindere dal loro status giuridico occasionale, senza il timore di conseguenze negative.
La realtà è invece tutt’altra. La «legge Rosarno», adottata con il Decreto Legislativo n.109/2002 in attuazione della Direttiva europea 2009/52/EC (Direttiva Sanzioni), ha introdotto misure di protezione per i lavoratori migranti irregolari vittime di sfruttamento lavorativo. Invece la stessa norma presenta gravi ostacoli all’accesso alla giustizia per i migranti, soprattutto se irregolari. Ciò deriva dalla criminalizzazione della migrazione irregolare (non delle ragioni che la provocano), oltre che dall’affidamento agli ispettori del lavoro delle funzioni di applicazione delle leggi sull’immigrazione.
La «Rosarno» non ha prodotto procedimenti efficaci e meccanismi utili ad assicurare ai lavoratori migranti il pagamento degli arretrati da parte dei datori di lavoro, anche grazie all’assenza di canali sicuri ed efficaci attraverso i quali sporgere denuncia. Questa norma, se ancora non bastasse, non ha introdotto sanzioni amministrative aggiuntive nei confronti dei datori di lavoro che impiegano migranti irregolari; vale a dire l’esclusione dagli aiuti pubblici (oltre il 40% del bilancio comunitario è destinato all’agricoltura), il divieto dalla partecipazione ad appalti pubblici, il rimborso di alcune o di tutte le prestazioni ammesse ai contributi, le sovvenzioni e gli aiuti pubblici già concessi ma scarsamente documentati, la chiusura degli stabilimenti o il ritiro delle licenze necessarie allo svolgimento delle attività sfruttatrici di tale mano d’opera.
Non da ultimo, come accennato, tale norma ha affidato la responsabilità di svolgere attività di vigilanza «sull’impiego di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare» agli uffici locali dell’ex Ministero del Lavoro (inglobato da alcuni anni in quello delle Attività Produttive). La legge ha ampliato il ruolo di controllo dell’immigrazione di tali uffici sul posto di lavoro anche se gli standard internazionali in materia vanno in direzione diametralmente opposta. Basti pensare al permesso di soggiorno per motivi umanitari. Nel nostro paese tali tutele raggiungono cifre esigue rispetto ad altri, proprio nelle zone più esposte. I particolari sono eloquenti. In Calabria fino ad ottobre del 2013 non è stato concesso alcun permesso di soggiorno dall’Ufficio del Procuratore di Palmi, mentre uno solo è stato emesso dalla Questura di Reggio Calabria. Inoltre, tra luglio 2012 e ottobre 2013, solo state ricevute dalla Questura di Caserta solo alcune richieste di permesso di soggiorno per sfruttamento lavorativo, mentre nello stesso periodo il Procuratore Capo di Latina non ne ha ricevuta neanche una.
Secondo il dossier statistico Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) del 2013 i lavoratori sono riluttanti a sporgere denuncia contro i propri datori di lavoro per sfruttamento. Fatto che si spiega facilmente quando sono gli stessi migranti-schiavi a doversi giustificare di aver violato una legge che neppure conoscono. Il conto lo pagano ogni giorno i consumatori nel carrello della spesa. Il prezzo è conveniente e quindi “chi se ne frega” di come si è determinato quel prezzo.
Questa vergognosa vicenda internazionale porterà il prossimo 12 dicembre a Latina la Commissione Parlamentare Antimafia. Un’ottima occasione per ponderare accuratamente le nostre scelte e continuare a denunciare tratta, grande distribuzione organizzata, caporalato, agromafiosi e schiavisti di oggi.