Sempre schiavi delle agromafie

by redazione | 10 Dicembre 2014 14:40

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«Vole­vamo brac­cia e sono arri­vati uomini» era il titolo del dos­sier pre­sen­tato da Amne­sty Inter­na­tio­nal nel 2012. Il “sistema” chie­deva mano­do­pera da sfrut­tare al costo più basso pos­si­bile. Arri­va­vano invece esseri umani dotati di sto­rie per­so­nali e dignità. Una cosa impen­sa­bile appena due­cento anni fa, quando le navi negriere attra­ver­sa­vano l’Atlantico per tra­spor­tare schiavi dall’altra parte dell’oceano. Qual­cosa di molto simile a quanto sta avve­nendo nella nostra epoca tra una sponda e l’altra del Medi­ter­ra­neo. Gli unici cam­bia­menti inter­ve­nuti nel frat­tempo sono stati il cabo­tag­gio degli scafi, il fatto che i migranti non pro­ven­gono più solo dall’Africa e la neces­sità uffi­cial­mente rico­no­sciuta della migra­zione: prima gli schiavi li ammaz­za­vano durante il rapi­mento, oggi invece li ammaz­zano in un modo più “soft”.

E allora quelli di Amne­sty Inter­na­tio­nal, l’organizzazione che si occupa di diritti umani a livello inter­na­zio­nale, hanno deciso di pre­di­sporre un secondo dos­sier dall’eloquente titolo: Lavoro sfrut­tato due anni dopo — il fal­li­mento della «Legge Rosarno» nella pro­te­zione dei migranti sfrut­tati nel set­tore agri­colo in Italia.

La «legge Rosarno», per inten­derci, avrebbe dovuto con­tra­stare lo sfrut­ta­mento pro­prio dei lavo­ra­tori migranti in agri­col­tura. Cioè di que­gli uomini che per soprav­vi­vere sono costretti a svol­gere lavori sot­to­pa­gati, sta­gio­nali e tem­po­ra­nei. Uno sfrut­ta­mento che fini­sce diret­ta­mente nel prezzo di acqui­sto dei pro­dotti che com­priamo al super­mer­cato. In que­sta “eccel­lenza” spic­ca­vano le aree di Latina e Caserta. Nel primo dos­sier furono docu­men­tate paghe infe­riori al sala­rio minimo con­trat­tato, la ridu­zione arbi­tra­ria dello stesso sala­rio, paga­menti ritar­dati o del tutto assenti e lun­ghi orari di lavoro. Tutte pro­messe e pre­messe di nume­rose vio­lenze e inti­mi­da­zioni di stampo mafioso poi rego­lar­mente appli­cate. Coin­volte, oltre ai migranti pon­tini e caser­tani, anche le loro famiglie.

Il qua­dro dram­ma­tico di que­sta disu­mana vicenda è stato inte­grato da un altro dos­sier: Doparsi per lavo­rare come schiavi pre­di­spo­sto dall’associazione In Migra­zione rela­tivo all’uso di sostanze dopanti da parte dei brac­cianti indiani migrati nell’Agro Pon­tino; i più sfrut­tati e fra­gili nel sop­por­tare le vio­lenze e i ritmi impo­sti loro dai capo­rali e dai rela­tivi “padroni” ita­liani. Amne­sty ricorda che secondo il diritto inter­na­zio­nale l’Italia ha l’obbligo di rispet­tare, pro­teg­gere, rea­liz­zare e soprat­tutto appli­care i diritti umani di tutti i lavo­ra­tori migranti. Que­sti devono poter pre­sen­tare denun­cia, a pre­scin­dere dal loro sta­tus giu­ri­dico occa­sio­nale, senza il timore di con­se­guenze negative.

La realtà è invece tutt’altra. La «legge Rosarno», adot­tata con il Decreto Legi­sla­tivo n.109/2002 in attua­zione della Diret­tiva euro­pea 2009/52/EC (Diret­tiva San­zioni), ha intro­dotto misure di pro­te­zione per i lavo­ra­tori migranti irre­go­lari vit­time di sfrut­ta­mento lavo­ra­tivo. Invece la stessa norma pre­senta gravi osta­coli all’accesso alla giu­sti­zia per i migranti, soprat­tutto se irre­go­lari. Ciò deriva dalla cri­mi­na­liz­za­zione della migra­zione irre­go­lare (non delle ragioni che la pro­vo­cano), oltre che dall’affidamento agli ispet­tori del lavoro delle fun­zioni di appli­ca­zione delle leggi sull’immigrazione.

La «Rosarno» non ha pro­dotto pro­ce­di­menti effi­caci e mec­ca­ni­smi utili ad assi­cu­rare ai lavo­ra­tori migranti il paga­mento degli arre­trati da parte dei datori di lavoro, anche gra­zie all’assenza di canali sicuri ed effi­caci attra­verso i quali spor­gere denun­cia. Que­sta norma, se ancora non bastasse, non ha intro­dotto san­zioni ammi­ni­stra­tive aggiun­tive nei con­fronti dei datori di lavoro che impie­gano migranti irre­go­lari; vale a dire l’esclusione dagli aiuti pub­blici (oltre il 40% del bilan­cio comu­ni­ta­rio è desti­nato all’agricoltura), il divieto dalla par­te­ci­pa­zione ad appalti pub­blici, il rim­borso di alcune o di tutte le pre­sta­zioni ammesse ai con­tri­buti, le sov­ven­zioni e gli aiuti pub­blici già con­cessi ma scar­sa­mente docu­men­tati, la chiu­sura degli sta­bi­li­menti o il ritiro delle licenze neces­sa­rie allo svol­gi­mento delle atti­vità sfrut­ta­trici di tale mano d’opera.

Non da ultimo, come accen­nato, tale norma ha affi­dato la respon­sa­bi­lità di svol­gere atti­vità di vigi­lanza «sull’impiego di cit­ta­dini di Paesi terzi il cui sog­giorno è irre­go­lare» agli uffici locali dell’ex Mini­stero del Lavoro (inglo­bato da alcuni anni in quello delle Atti­vità Pro­dut­tive). La legge ha ampliato il ruolo di con­trollo dell’immigrazione di tali uffici sul posto di lavoro anche se gli stan­dard inter­na­zio­nali in mate­ria vanno in dire­zione dia­me­tral­mente oppo­sta. Basti pen­sare al per­messo di sog­giorno per motivi uma­ni­tari. Nel nostro paese tali tutele rag­giun­gono cifre esi­gue rispetto ad altri, pro­prio nelle zone più espo­ste. I par­ti­co­lari sono elo­quenti. In Cala­bria fino ad otto­bre del 2013 non è stato con­cesso alcun per­messo di sog­giorno dall’Ufficio del Pro­cu­ra­tore di Palmi, men­tre uno solo è stato emesso dalla Que­stura di Reg­gio Cala­bria. Inol­tre, tra luglio 2012 e otto­bre 2013, solo state rice­vute dalla Que­stura di Caserta solo alcune richie­ste di per­messo di sog­giorno per sfrut­ta­mento lavo­ra­tivo, men­tre nello stesso periodo il Pro­cu­ra­tore Capo di Latina non ne ha rice­vuta nean­che una.

Secondo il dos­sier sta­ti­stico Uffi­cio Nazio­nale Anti­di­scri­mi­na­zioni Raz­ziali (UNAR) del 2013 i lavo­ra­tori sono rilut­tanti a spor­gere denun­cia con­tro i pro­pri datori di lavoro per sfrut­ta­mento. Fatto che si spiega facil­mente quando sono gli stessi migranti-schiavi a doversi giu­sti­fi­care di aver vio­lato una legge che nep­pure cono­scono. Il conto lo pagano ogni giorno i con­su­ma­tori nel car­rello della spesa. Il prezzo è con­ve­niente e quindi “chi se ne frega” di come si è deter­mi­nato quel prezzo.

Que­sta ver­go­gnosa vicenda inter­na­zio­nale por­terà il pros­simo 12 dicem­bre a Latina la Com­mis­sione Par­la­men­tare Anti­ma­fia. Un’ottima occa­sione per pon­de­rare accu­ra­ta­mente le nostre scelte e con­ti­nuare a denun­ciare tratta, grande distri­bu­zione orga­niz­zata, capo­ra­lato, agro­ma­fiosi e schia­vi­sti di oggi.

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