Rublo ai minimi storici crolla la borsa di Mosca E il Cremlino accusa “Complotto americano”
MOSCA . È presto per dire se questa attuale Seconda Guerra fredda sarà vinta ancora una volta dagli americani, ma al Cremlino in questi giorni c’è la cupa sensazione di essere al centro di un attacco premeditato e comunque in forte svantaggio. Con un malumore crescente tra la gente comune, tra i miliardari di fiducia del regime, e soprattutto tra quella piccola borghesia appena nata che, dopo la sbornia patriottica dei primi giorni di tensione ucraina, riassapora la tentazione di tornare a scendere in piazza e contestare il potere e il suo leader.
Sanzioni e calo, forse strumentale, del prezzo del petrolio stanno aggravando sempre più la situazione economica e tutti gli interventi azzardati fino ad ora non hanno portato ad alcun risultato. Ieri mattina il cielo plumbeo di una Mosca gelata sembrava l’unica cornice possibile per una raffica di notizie sconfortanti. Il valore del rublo continua la sua picchiata al di sotto di ogni record negativo della Storia, assestandosi intorno ai 50 rubli per un dollaro e ai 67 per un euro. Il 75 percento in meno rispetto ad appena i primi giorni di settembre. Quanto basta per spiegare quelle code davanti agli sportelli bancari per ritirare i propri risparmi e convertirli in gran fretta in solida valuta straniera. Inevitabile la chiusura con forte indice negativo (3,8 percento) della Borsa di Mosca. Con i loro stipendi svalutati i russi si preparano a un Natale magro dove gli acquisti saranno ridotti al minimo. Glielo ricorda la notizia di prima pagina di molti giornali: la Ut Air, terza compagnia aerea del Paese sull’orlo della bancarotta a causa dei prezzi lievitati di carburanti, apparecchiature, e moltiplicazione insostenibile dei debiti contratti all’estero in dollari o in euro. Non è tanto la preoccupazione per la sorte dei ricchi proprietari di Ut Air, tra cui spicca il sindaco di Mosca Sobjanin, quanto la constatazione di un problema come quello dell’occupazione che sembrava ormai dimenticato da anni. Né può certo rincuorare sapere che, pur di tenere il rublo su una linea di galleggiamento dignitosa, la Banca centrale russa abbia bruciato ben 4 miliardi di dollari nell’ultima settimana per acquistare la sua stessa valuta. Spesa che si somma ai 30 miliardi di dollari utilizzati nel mese di ottobre. Inutilmente.
Me le notizie peggiori arrivano dal fronte del petrolio. Un barile costava ieri 67 dollari. Putin ne aveva invocato un prezzo intorno agli 80 solo per mantenere il già disastroso status quo. In realtà, per rinfocolare qualche speranza di ripresa, bisognerebbe arrivare addirittura a 100. La Russia che dipende al 60 per cento dalla vendita del greggio non ha possibili alternative a breve termine.
Putin tace ma affida a personaggi meno vistosi il frutto delle sue meditazioni. Tocca al vice ministro degli Esteri Sergej Rajabkov sintetizzare la visione delle cose del Cremlino: «C’è un piano dettagliato degli Usa per destabilizzare la Russia e la sua leadership». E non sembra la solita sparata retorica. In Ucraina, ti fanno notare al Cremlino, la situazione sembra sempre più radicalizzata. Il nuovo governo, diretto da un prediletto di Obama come Arsenj Jatesenjuk, continua le sue dichiarazioni di guerra contro i secessionisti filo russi dell’Est. Con una mossa, che qui viene ritenuta scandalosa, sono entrati nel governo di Kiev ben tre “occidentali”: una lituana e un polacco a Tesoro ed Economia e addirittura un americano agli Interni. La prospettiva di un ingresso ucraino nella Nato, che Mosca considererebbe al pari di un’aggressione, continua ad essere un obiettivo dichiarato. Putin ha affidato parte delle speranze di un accordo al viaggio lampo del francese Hollande a Mosca. Ha usato toni concilianti. Per la prima volta, ha riconosciuto le responsabilità dei “russi d’Ucraina” nelle violazioni della tregua. Ma quanto a concessioni, non può più andare oltre.
La tesi del complotto americano non si limita all’Ucraina e preoccupa Putin e i suoi molto di più di quanto vogliano far capire. La paura dei russi per un futuro sempre più povero cresce di ora in ora. Ed è proprio su questo che contano i tanti movimenti di opposizione che due anni fa riempirono le piazze di Mosca e delle grandi città russe. Adesso, con il loro leader Aleksej Navalnyj agli arresti domiciliari e con tutti gli altri neutralizzati da una raffica di leggi anti-dissenso, i contestatori sembrano scomparsi. Ma Putin non dimentica i loro progetti anticipati ai media internazionali appena l’anno scorso: «Ci vuole una forte crisi economica. Toccati nelle loro tasche, tutti i russi capiranno che questo regime va cambiato. E la contestazione sarà totale, quasi una rivolta». Tesi curiosamente anticipata dall’allora ambasciatore Usa McFaul e addirittura dall’ex segretario di Stato Condoleezza Rice, esperta di cose russe.
Complotto americano? Oppure naturale conseguenza dell’annessione della Crimea e del sostegno alla rivolta del Donbass? Comunque sia il malumore popolare fa tornare nelle stanze più segrete del Cremlino l’antico incubo delle “rivoluzioni colorate”. Servizi segreti e polizia sono in stato d’allerta. I media sempre più controllati. Un’altra preoccupazione che si aggiunge a quella più immediata, relativa alla borsa della spesa.
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