Renzi si dà ai Giochi

by redazione | 16 Dicembre 2014 8:35

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Un fiume di sei miliardi di euro che si river­serà sulla città ormai cono­sciuta in tutto il mondo come Mafia Capi­tale. A due set­ti­mane dall’inchiesta e dagli arre­sti che hanno scon­volto Roma e l’intero paese il pre­si­dente del Con­si­glio annun­cia la can­di­da­tura ai Gio­chi Olim­pici del 2024. E non è dif­fi­cile imma­gi­narsi i maneg­gioni, i palaz­zi­nari, tutto il malaf­fare poli­tico sfre­garsi le mani dall’appetito fra bandi, appalti e gare da oliare ed aggiudicarsi.

Dove non riu­scì Vel­troni con la can­di­da­tura per il 2016, dove non riu­scì Ber­lu­sconi con quella per il 2020, oggi ci prova Renzi. Ma le con­di­zioni sono esat­ta­mente le stesse. La crisi e la penu­ria di risorse pub­bli­che — ragione addotta da Mario Monti per negare la firma per la can­di­da­tura del 2020, quando tutto il car­roz­zone era già par­tito — sono tutte intatte. I conti del Comune sono da default, le prio­rità sareb­bebo ben altre — le peri­fe­rie, ad esem­pio. Senza dimen­ti­care che nel bilan­cio del Comune com­pa­iono ancora i costi per l’esproprio delle aree uti­liz­zate per i Gio­chi di Roma 1960.

La tesi alquanto bislacca che il pre­mier e il Coni cer­cano di accre­di­tare è esat­ta­mente con­tra­ria. Per riu­scire a risol­le­vare l’immagine sdru­cita della città eterna, offu­scata dagli scan­dali, serve una grande impresa. «Il governo è pronto a fare la pro­pria parte: sono con­vinto che ce la faremo», ha annun­ciato Renzi davanti ai cam­pioni dello sport riu­niti nel salone d’onore del Coni per la ceri­mo­nia dei “Col­lari d’oro”.

Sotto i dipinti che magni­fi­cano le imprese del duce, il pre­mier ha cer­cato di met­tere subito le mani avanti sulla que­stione costi e appalti, spie­gando che «non pen­siamo che possa essere un pro­getto cam­pato in aria, fatto di grandi infra­strut­ture, di grandi sogni, ma un pro­getto fatto di grandi per­sone», «saremo all’avanguardia dal punto di vista del con­trollo della spesa».

Poi è stato il padrone di casa Gio­vanni Malagò, pre­si­dente del Coni, a pro­met­tere che per il pro­getto «ci deve essere il Can­tone di turno a super­vi­sio­nare, ser­virà una tra­spa­renza reli­giosa». È Malagò stesso a defi­nire «rea­li­stica» la stima di sei miliardi di fondi neces­sari, «a cui par­te­ci­pe­ranno anche aziende pri­vate che mi hanno fatto capire che sono dispo­ste a investire».

Di certo buona parte degli arre­stati e degli inda­gati dell’inchiesta mafia capi­tale erano pre­senti il 5 marzo 2010 all’Auditorium della Musica di Roma. Quel giorno l’allora sin­daco Gianni Ale­manno pre­sentò il pro­getto per le Olim­piadi del 2020. Una grande ker­messe sulla quale però aleg­giava già un altro scan­dalo. Quello dell’inchiesta sui Grandi appalti di cui buona parte riguar­da­vano un altro evento spor­tivo finito male: i Mon­diali di nuoto di Roma, con­cluso con un buco da 8 milioni e gran parte delle piscine seque­strate o chiuse.

Indo­vi­nate chi era il pre­si­dente del comi­tato orga­niz­za­tore di quell’evento? Gio­vanni Malagò. Che fu inda­gato e poi assolto per le auto­riz­za­zioni e i lavori al suo Cir­colo Aure­lia, cro­ce­via dei con­tatti fra i vari Ane­mone, Bal­ducci, Ber­to­laso e della cosid­detta cricca. Dall’assoluzione Malagò è par­tito per la sca­lata al Coni. E ora, sfrut­tando l’ambizione smi­su­rata di Renzi, vuole arri­vare dove nes­suno è riu­scito: ripor­tare le Olim­piadi a Roma.

Un mirag­gio che diventa almeno più pro­ba­bile gra­zie al fatto che le Olim­piadi del 2020 non sono andate ad una città euro­pea — come voleva la regola dell’alternanza — ma a Tokyo. Il Comi­tato olim­pico inter­na­zio­nale — il Cio — sta poi cer­cando di ridurre le spese delle città ospi­tanti. In quest’ottica si spiega l’allargamento a città limi­trofe di gare e com­pe­ti­zioni — fino però solo ai quarti di finale — che ha per­messo a Renzi di annun­ciare come nel pro­getto rien­tre­ranno anche «Firenze, Napoli e la Sardegna».

Il vil­lag­gio olim­pico è sem­pre stata la spesa più grande. Per il 2020 Ale­manno e i suoi ave­vano pen­sato alla Col­lina Fle­ming e Tor di Quinto (nord della città). L’area è a rischio eson­da­zioni, ma il Comune aveva già ten­tato di costruirci un “nuovo” Foro Ita­lico per il ten­nis. Que­sta volta si spera che la solu­zione sia più azzeccata.

Il monu­mento allo spreco del gigan­ti­smo spor­tivo vel­tro­niano è la vela di Cala­trava. A Tor Ver­gata il suo sche­le­tro vuoto si impone sul pae­sag­gio cir­co­stante. La città dello Sport doveva con­te­nere oltre alle piscine per i mon­diali di nuoto, un Pala­sport mul­ti­fun­zio­nale da 15 mila posti e campi di atle­tica. Il pro­getto ini­ziale aveva un costo di 136 milioni, poi arri­vati a 256, infine a quota 700, con i lavori, diretti da il con­sor­zio Via­nini del gruppo Cal­ta­gi­rone, fermi ormai da anni per man­canza di fondi. Ora Malagò vor­rebbe com­ple­tarla: «La copri­remo di ple­xi­glass invece che di vetro rispar­miando 30 milioni». Ma senza il via libera della — fu — archi­star spa­gnola, non si potrà fare.

Intanto però è già par­tita la corsa alla pol­trona. Si spe­rava che quella di pre­si­dente del comi­tato pro­mo­tore la potesse occu­pare lo stesso Gio­vanni Malagò, rispar­miando un lauto sti­pen­dio e le spese di rap­pre­sen­tanza. Niente affatto. In pole posi­tion c’è invece Luca Cor­dero di Mon­te­ze­molo, fre­sco di nomina a pre­si­dente di Ali­ta­lia. Per il 2020 fu cal­co­lato un costo di 42 milioni, vedremo quanto sarà que­sta volta. La deci­sione sulla can­di­da­tura sarà presa dal Cio nel set­tem­bre 2017. A meno di ripen­sa­menti alla Monti, fino a quel giorno per il comi­tato ci sarà da lavo­rare. E spendere.

Tutto il mondo poli­tico si dice entu­sia­sta dell’annuncio. Anche il sin­daco Igna­zio Marino che appena inse­diato — il 3 dicem­bre 2013 — si defi­niva «piut­to­sto tie­pido sulle Olim­piadi 2024». Pochis­sime le voci con­tra­rie. Nel Pd solo Civati. La Lega invece è spac­cata: per Sal­vini le «Olim­piadi sono una fol­lia», ma Maroni punta ad ospi­tare qual­che evento e parla di «Olim­piadi ita­liane, non di Roma». Con­trari il M5s — che parla di «cin­que cer­chi, cin­que manette» — e la sinistra.

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