by redazione | 11 Dicembre 2014 17:17
BRUXELLES – Ce chi ce l’ha e chi non ce l’ha, c’è chi è più generoso e chi lo è meno. Stiamo parlando degli schemi di reddito minimo in Europa, che variano considerevolmente da paese a paese. E ci sono Stati come l’Italia che proprio non li hanno.
Anche dove un reddito minimo è previsto, comunque, può essere davvero insignificante, come i 22 euro al mese che una persona riceve in Romania o i 30 euro in Bulgaria. D’altro canto in Danimarca, una persona ha diritto a un reddito minimo di 1433 euro e una coppia con figli a 3808 euro. In Polonia, per esempio, a una famiglia con due bambini spettano appena cento euro.
Questi i risultati di trenta relazioni nazionali e due rapporti tematici, sintetizzati in un lavoro presentato oggi a Bruxelles dallo European Minimum Income Network (EMIN).
I dati raccolti nelle relazioni sfatano il mito secondo cui ad approfittare del reddito minimo siano persone pigre e parassite che piuttosto che lavorare vogliono vivere alle spalle del welfare e dei loro concittadini. Infatti il tasso del cosiddetto “non take-up”, ovvero di quelli che – pure avendo la possibilità di ottenere un reddito minimo – non se ne avvalgono e quindi non utilizzano il sussidio, è altissimo, con cifre che variano in Europa dal 20 al 75%.
Letizia Cesarini Sforza, della sezione italiana del network europeo contro la povertà EAPN, spiega che l’Italia rappresenta una peculiarità ed è un po’ a metà strada fra i paesi più avanzati in materia di reddito minimo e quelli meno progrediti: “Non siamo a livello dei paesi scandinavi, del Lussemburgo o della Francia – dichiara – ma nemmeno come Romania e Bulgaria, che hanno un reddito minimo ridicolo di qualche decina di euro al mese. Il problema dell’Italia – prosegue – è che noi non abbiamo dei diritti, ma solo una pletora di sussidi. Quello che manca è uno schema universale di reddito minimo, che sia uguale per tutti. Ci sono esperienze interessanti come l’adozione del reddito minimo a Bolzano, ma per il resto il problema dei sussidi è che restano solo nella misura in cui ci sono i soldi, solo finché non cambia l’amministrazione locale…”
Inoltre, secondo la Cesarini Sforza, la non uniformità sul territorio dei vari sussidi complica ulteriormente le cose: “Non c’è un grande take up, una grande presa – sottolinea – perché la gente povera spesso non sa neanche a cosa avrebbe diritto. A volte per poter avere uno sconto sull’acqua o sull’elettricità si devono presentare così tanti documenti e andare in così tanti uffici che le pratiche amministrative scoraggiano una persona, anche quando ha bisogno. Io lo dico sempre: poter sopravvivere da poveri significa dover avere molto tempo a disposizione”.
Infine Cesarini Sforza si sofferma sulla retorica di chi dice che, in caso di reddito minimo, ci sarebbero abusi: “E’ lo Stato che deve farsi responsabile dei controlli. Non possono essere i poveri a rimetterci perché lo Stato non controlla. E se qualcuno abusa del reddito minimo non è certo colpa del povero. E’ molto pericoloso pensare che per qualcuno che ruba facciamo pagare chi ha bisogno. E comunque è dimostrato che gli approfittatori di lungo periodo sono pochi. Io dico questo: meglio dieci che approfittano del reddito minimo e cento che lo usano perché ne hanno effettivamente bisogno che centodieci persone che non ce l’hanno”.
E sulla prossima discussione in Parlamento del reddito di cittadinanza, Cesarini Sforza è lapidaria: “Spero di sbagliarmi, ma io ci credo poco. Eppure sarebbe una misura essenziale per uscire dalla povertà in un momento in cui il lavoro non c’è.”. (Maurizio Molinari)
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