Quella lettera di Camusso e la mediazione di Napolitano

by redazione | 13 Dicembre 2014 10:39

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La lettera arriva all’hotel Principi di Piemonte giovedì, intorno all’ora di pranzo. È indirizzata a Giorgio Napolitano, appena giunto a Torino per il vertice italo-tedesco. A firmarla è Susanna Camusso, che gli spiega il suo allarme legato alla precettazione nei trasporti decisa dal governo per l’indomani, giorno di sciopero generale.
È così che comincia una triangolazione tra il capo dello Stato, il segretario della Cgil e il ministro Maurizio Lupi, con il coinvolgimento dalla Turchia del premier Matteo Renzi. Contatti ai quali pare si incroci anche Roberto Alesse, alla guida della commissione di garanzia che si occupa di questa materia. Lo sforzo di Napolitano si divide su due fronti. Anzitutto chiarire con gli interlocutori che cosa preveda davvero la Costituzione in questo delicatissimo campo di diritti, e il presidente della Repubblica è colpito dalla complessiva ignoranza su quanto recita l’articolo 40 della Carta e sulle procedure previste a tutela degli utenti. E, se possibile e giuridicamente consentito, togliere di mezzo un nuovo elemento di tensione (il richiamo al lavoro coatto dei ferrovieri, appunto), percepito come un’insopportabile sfida dai sindacati e che rischia di esasperare un conflitto già molto acuto.
Succede insomma qualcosa che in un Paese normale non sarebbe normale. Napolitano, infatti, chiamato in causa in modo assolutamente improprio, ne è molto infastidito. Accade cioè che, nel clima di impazzimento generale, sia il capo dello Stato a tentar di riattivare almeno per un momento il dialogo, facendo parlare fra loro persone che direttamente non lo fanno da tempo. Quasi una mediazione, che in serata va a buon fine. Il risultato lo si registra al termine della giornata, quando il ministro Lupi annuncia il passo indietro e comunica che la precettazione è ritirata.
Lo scontro si è poi davvero un po’ attenuato, nelle piazze italiane mobilitate ieri da Cgil, Uil e Ugl. Ma il presidente si è sentito frustrato da quel cortocircuito. Tanto che ieri mattina, prima di rientrare a Roma e prima che lo sciopero cominciasse, ha lanciato un richiamo da intendersi come rivolto erga omnes: «Basta esasperazioni, pensate al bene del Paese», «serve rispetto reciproco», serve che «si trovi la via di una discussione pacata», nella quale «il governo ha le sue prerogative e il Parlamento le proprie», mentre «il sindacato ha da svolgere il suo ruolo». Il che, traducendo, significa: Palazzo Chigi elabori le misure che crede giuste contro la crisi, senta i sindacati, ma senza mortificarli e spingerli al conflitto, e alla fine porti tutto davanti alle Camere, cui spetta votare le leggi.
Questo vorrebbe la fisiologia di un sistema sano e questo vorrebbe ovviamente lui. Napolitano ne riparlerà martedì prossimo al Quirinale, nell’incontro natalizio con le alte cariche dello Stato. Incontro in cui di solito i presidenti tracciano un bilancio dell’anno che si sta per chiudere e indicano le cose più urgenti da fare. Stavolta il suo discorso sarà segnato, oltre che dalle ormai prossime dimissioni, dalle ultime fratture politico-istituzionali e dalle notizie sul riemergere di una corruzione diffusa che sta inquinando la nostra vita pubblica. Fatale dunque che, anche per correggere certe letture fuorvianti di quanto ha detto di recente, torni sulla questione morale e sull’antipolitica, sulle tensioni sociali e sul vecchio tema della concertazione, troppo presto liquidato come una pratica da archiviare.
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