MOSCA Il più esplicito è stato il capo di Gazprom Aleksej Miller che ha definito «chiuso» South Stream, il progettato gasdotto che avrebbe dovuto aggirare l’Ucraina a sud. Vladimir Putin aveva appena spiegato che «se l’Unione Europea non vuole che si faccia, allora non lo faremo, anche se questo è contrario agli interessi europei».
Da Ankara, dove il presidente russo è arrivato poche ore dopo la partenza di papa Francesco, è stata svelata la nuova strategia del Cremlino: visto che le sanzioni e la decisione politica di Bruxelles rendono impossibile la realizzazione del progetto, allora meglio ripiegare su una possibile alternativa turca.
Dai campi di metano russi il gas già arriva attraverso linee esistenti, denominate Blue Stream. L’idea è di raddoppiare queste linee per far giungere alle porte dell’Europa altri 63 miliardi di metri cubi di gas l’anno, esattamente quello che avrebbe dovuto viaggiare nei tubi di South Stream. Poi dalla Turchia il gas dovrebbe procedere per arrivare agli altri Paesi dell’Unione Europea. Ma anche in questo caso si tratta di una idea assai ambiziosa che, probabilmente, sarà irrealizzabile se le sanzioni non verranno revocate.
South Stream era il fratello meridionale di North Stream. Si tratta di due progetti avviati da Mosca ai tempi della prima crisi del gas con l’Ucraina, Paese attraverso il quale passano i vecchi gasdotti di epoca sovietica: aggirare il riottoso vicino a nord e a sud per portare il metano direttamente in Europa, passando sotto il Mar Baltico e sotto il Mar Nero. North Stream è stato realizzato in tempi record grazie soprattutto all’appoggio della Germania, direttamente interessata. Contro South Stream è invece insorta quasi tutta l’Europa, ad eccezione dei Paesi più direttamente interessati, come l’Italia.
Il coinvolgimento di Mosca negli scontri in corso in Ucraina e il varo delle sanzioni occidentali hanno dato il colpo di grazia al progetto. Il costo si è rivelato proibitivo senza l’intervento delle banche europee e americane. Inoltre è stato proibito anche il trasferimento di tecnologia specifica. E la Russia, nonostante i buoni propositi e i sogni dei suoi tecnocrati, non è in grado oggi di sostituire quello che acquistava all’estero con prodotti fatti in casa. Senza le maggiori compagnie internazionali (per l’Italia era la Saipem, Gruppo Eni, in prima linea), si ferma tutto. Quasi certamente si bloccherà anche la ricerca nell’Artico (osteggiata dagli ambientalisti) e il gasdotto dalla penisola di Yamal.
L’ultimo colpo a South Stream è venuto dalla Bulgaria, dove il precedente governo socialista era favorevolissimo. Ma le recenti elezioni avevano mutato il quadro politico. Il nuovo primo ministro Boyko Borisov aveva, in pratica, rimesso la decisione nelle mani di Bruxelles.
Fabrizio Dragosei