Il Paese ostaggio del voto di scambio ecco come la corruzione prospera sulla povertà

by redazione | 15 Dicembre 2014 8:15

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ROMA . I pacchi di pasta agli anziani portati alle primarie del Pd per il Comune di Roma. Le file di elettori nei quartieri ad alta densità di rom ed altri cittadini con diritto di voto, ma senza lavoro. Il voto di scambio, fondamenta del potere della tribù di Mafia Capitale per piazzare uomini fedeli e controllare gli appalti o le imprese municipali, non è un’esclusiva di Roma. Non è neppure una novità, perché è passato agli annali del folclore per le promesse di una scarpa prima e una dopo il voto nella Napoli anni ’50 del sindaco Achille Lauro.
Questa volta però è diverso. Questa non è più l’Italia del boom, con i tassi di crescita e di speranza più alti dell’Occidente. Nel pieno di un crollo dell’economia di oltre il 9% dal 2008, e di una caduta anche maggiore dei redditi degli ultimi, il voto di scambio, la corruzione, l’esclusione delle imprese pulite e competenti e tutto il debito pubblico che ne deriva, sono ormai un sistema radicato nella recessione. Senza il declino italiano, non esisterebbe con la stessa forza. Non potrebbe, perché i dati elettorali su decine di comuni d’Italia mostrano come il voto di scambio sia legato sempre più strettamente all’impoverimento delle città. Per questo promette di radicarsi – con le sue conseguenze tossiche – se l’Italia non ritrova la strada della ripresa. Sono i grandi numeri, non più solo gli aneddoti, a mostrare i segni di questa realtà. Un’analisi sui dati delle 10 città medio-piccole a maggior reddito e di altri 10 centri di dimensioni simili, ma relegate in fondo alle graduatorie del benessere economico, mostra come la povertà distorca i comportamenti elettorali. Questi due gruppi diversi di comuni mostrano, in media, scarti così radicali nell’affluenza alle urne da lasciar capire come il voto di scambio si sia ormai impadronito di intere parti d’Italia.
Per le città più ricche, abbiamo selezionato le prime 10 della classifica della produzione di reddito del “Sole 24 Ore” (ad esclusione di Milano, troppo grande per il confronto). Si tratta di Sondrio, Aosta, Belluno, Piacenza, Cuneo, Parma, Modena, Bolzano, Mantova, Biella. Per le città meno benestanti, abbiamo scelto 10 centri al fondo delle classifiche del “Sole” per reddito prodotto, assegni pensionistici medi o patrimonio. Sono Reggio Calabria, Salerno, Vibo Valentia, Catanzaro, Crotone, Cosenza, Lecce, Agrigento, Enna e Messina.
Salta subito all’occhio che nei due gruppi di città di classi di reddito opposte il comportamento degli elettori è anch’esso molto diverso. Nella media delle 10 città “ricche” l’affluenza è stata sempre maggiore alle ultime elezioni politiche (78,1%) che al primo turno delle ultime comunali (65,2%). Nella media delle 10 città più impoverite invece l’affluenza alle ultime politiche (65,6%) è nettamente più bassa che al primo turno delle ultime comunali (73,25%). Emerge poi anche un’altra differenza fra i due gruppi: quando le comunali vanno al secondo turno, con il ballottaggio fra due soli nomi di candidati a sindaco, l’affluenza al voto nelle città “povere” crolla in media molto più che nelle città “ricche”. Nel primo caso si registra una caduta media del 20% fra il primo e secondo turno, fra i capoluoghi benestanti invece il calo è minore di quasi la metà (meno 12,5%).
In sostanza, le città con molti abitanti in difficoltà economica sembrano molto più interessate alle comunali che alle politiche, ma questo interesse sparisce al ballottaggio in misura nettamente maggiore di quanto non avvenga dove il benessere è diffuso.
Ogni città naturalmente fa storia a sé. Le condizioni locali variano per mille motivi e non è detto che questi comportamenti siano sempre sintomo voto di scambio. Ma nei grandi numeri, l’indizio diventa una prova. Dove il reddito è più basso e quindi gli elettori sono più facilmente acquistabili con denaro, alimenti, la promessa di lavoro o la minaccia di licenziamento, è alle comunali e non alle politiche che tende a concentrarsi il voto di scambio. Alle ultime comunali esisteva infatti il voto di lista sui singoli candidati, mentre alle politiche le liste erano bloccate. Il candidato alle politiche non può controllare ex post se l’elettore ha dato o meno il voto che gli ha promesso, dunque non è incentivato a pagare per assicurarselo. Il candidato alle comunali invece è in grado di controllare che lo scambio sia avvenuto: poiché ha le liste degli elettori iscritti ai seggi di ciascuna sezione – gruppi di solito di 200 o 300 persone di un certo rione – nota subito se in un seggio ha ricevuto meno voti dei 20 o 30 che sa di aver “comprato”. Di qui la maggiore affluenza media nelle città a forte disagio economico, al primo turno delle comunali: è infatti allora che si indicano i singoli candidati. Di qui anche il crollo del 20% o più al ballottaggio, quando la scelta è fra due sole persone, dunque il controllo ex post impossibile e l’incentivo a comprare il voto viene meno. Queste anomalie nell’affluenza sono tali da permettere a chi pratica il voto di scambio di controllare un comune, i suoi appalti, e le aziende municipalizzate. Si genera così, grazie alla povertà, il modello Mafia Capitale: debito pubblico che arricchisce pochi oligarchi locali a spese delle aziende migliori, escluse dagli appalti, e della collettività. Non è detto che succeda sempre, ovviamente. Ma chi investe in voto di scambio lo fa sempre nell’attesa di un rendimento. E un’analisi più fine dimostra quanto queste dinamiche traggano alimento dalla recessione: la sezione 91 del quartiere più povero di Catanzaro, la città con le pensioni più basse d’Italia, fra le politiche e le comunali mostra un’impennata dell’affluenza dal 51% al 79%. Altre periferie d’Italia, non solo al Sud, danno segnali simili.
Nasce così un conflitto d’interesse in certi politici locali: non fanno niente per far emergere i loro concittadini dalla povertà, perché grazie ad essa è possibile il voto di scambio. La povertà conferisce controllo ai politici corrotti e genera nuova corruzione, che alimenta nuova povertà. Basterebbe poco per intralciare questo ingranaggio: mettere in un solo contenitore le schede di tutti i seggi prima dello scrutinio, in modo da impedire il controllo sui singoli elettori. Ma nessun politico l’ha mai proposto.
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