La nuova grande sfida di Cuba

by redazione | 23 Dicembre 2014 13:39

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Dopo che nel 1959 la rivo­lu­zione cubana pose fine al domi­nio sta­tu­ni­tense, ini­ziato con la guerra ispano-americana del 1898, gli Usa hanno cer­cato per oltre mezzo secolo di ricon­qui­stare Cuba ricor­rendo a ogni mezzo: dall’invasione al ter­ro­ri­smo di stato, dall’isolamento all’embargo.

Ma la resi­stenza del popolo cubano, orga­niz­zato in «Stato socia­li­sta di lavo­ra­tori, indi­pen­dente e sovrano» (art. 1 della Costi­tu­zione), ha fatto fal­lire il ten­ta­tivo. È stato costretto a pren­derne atto il pre­si­dente Barack Obama, rista­bi­lendo le rela­zioni diplo­ma­ti­che e allen­tando in parte l’embargo.

Tale deci­sione viene accolta con gioia dai cubani e da coloro che li hanno soste­nuti, in quanto frutto della loro lotta. Con­tem­po­ra­nea­mente però si assi­ste a una vasta cam­pa­gna che fa assur­gere il pre­si­dente Obama agli onori della Sto­ria, come se avesse dato un taglio netto alla aggres­siva poli­tica sta­tu­ni­tense verso Cuba.

Inter­pre­ta­zione smen­tita dalla stessa Casa Bianca. «Decenni di iso­la­mento di Cuba da parte degli Usa – si legge nel docu­mento uffi­ciale – non sono riu­sciti a rea­liz­zare il nostro obiet­tivo: oggi, come nel 1961, Cuba è gover­nata dai Castro e dal Par­tito comu­ni­sta». Rista­bi­lendo le rela­zioni diplo­ma­ti­che, «gli Usa con­cen­trano i loro sforzi nel pro­muo­vere l’indipendenza del popolo cubano, così che esso non debba fare affi­da­mento sullo Stato cubano».
L’amministrazione Obama, dun­que, non cam­bia la stra­te­gia mirante alla distru­zione dello Stato cubano. Cam­bia solo il modo per rea­liz­zarla. Non ci sarà un nuovo sbarco tipo quello della Baia dei Porci, effet­tuato nel 1961, sotto la pre­si­denza del demo­cra­tico Ken­nedy, da con­tro­ri­vo­lu­zio­nari cubani adde­strati e finan­ziati dalla Cia.

Ci sarà, sotto la pre­si­denza del demo­cra­tico Obama, lo sbarco di orga­niz­za­zioni «non-governative» (ema­na­zione della Cia e del Dipar­ti­mento di Stato), inviate da Washing­ton per «pro­getti uma­ni­tari di soste­gno al popolo cubano». Il Con­gresso degli Stati uniti – sot­to­li­nea il docu­mento della Casa Bianca – ha stan­ziato ingenti «fondi per la pro­gram­ma­zione della demo­cra­zia a Cuba, fina­liz­zati a for­nire assi­stenza uma­ni­ta­ria, pro­muo­vere i diritti umani e le libertà fon­da­men­tali, soste­nere il libero flusso di infor­ma­zioni, inco­rag­giare le riforme nei nostri con­tatti ad alto livello con fun­zio­nari cubani». Saranno in par­ti­co­lare finan­ziate «le atti­vità di fon­da­zioni pri­vate e isti­tuti di ricerca e istruzione».

Insieme alle orga­niz­za­zioni «non-governative» con le tasche piene di dol­lari, sbar­che­ranno le mul­ti­na­zio­nali Usa che, scrive il «New York Times», stanno costi­tuendo una «testa di ponte» per pene­trare con i loro capi­tali nell’economia cubana, pun­tando al set­tore delle bio­tec­no­lo­gie (molto svi­lup­pato a Cuba), a quello mine­ra­rio (soprat­tutto del nic­kel di cui Cuba pos­siede una delle mag­giori riserve al mondo), al set­tore alber­ghiero e turi­stico dalle grosse potenzialità.

La sfida che ha di fronte il popolo cubano è come impe­dire che le con­qui­ste della rivo­lu­zione ven­gano vani­fi­cate dalla nuova offen­siva con­dotta da Washing­ton con stru­menti non meno peri­co­losi dei pre­ce­denti.
Oggi la situa­zione è più favo­re­vole per Cuba: gran parte dell’America latina non è più «il cor­tile di casa degli Stati uniti» e Cuba, insieme a Vene­zuela (sog­getto a nuove san­zioni Usa) e altri paesi, ha dato vita all’Alleanza boli­va­riana per le Ame­ri­che. Deci­siva è una nuova gene­ra­zione che a Cuba porti avanti la rivo­lu­zione, facendo fal­lire il piano di Washing­ton di demo­lire lo Stato socia­li­sta in nome di una «indi­pen­denza del popolo cubano», che sarebbe una nuova dipen­denza dall’imperialismo Usa.

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