“Ma la nostra polizia deve cambiare spari di meno e parli con i poveri”

“Ma la nostra polizia deve cambiare spari di meno e parli con i poveri”

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LOS ANGELES. SIAMO negli studios della Paramount, dove 10 anni fa Ava Du Vernay si occupava di pubbliche relazioni. Oggi, a 42 anni, è in corsa ai Golden Globes come miglior regista per il film su Martin Luther King appena uscito in Usa, e potrebbe continuare a fare storia diventando la prima regista di colore candidata all’Oscar. Prodotto da Oprah Winfrey e Brad Pitt, Selma narra un episodio cruciale della storia dei diritti civili negli Stati Uniti: la marcia di Luther King da Selma, in Alabama, verso la capitale dello Stato, Montgomery, nel 1965. I dimostranti furono vituperati, presi d’assalto, picchiati e alcuni di loro uccisi dall’autorità reazionaria bianca. Eppure King trascinò il suo movimento al parziale trionfo: l’allora presidente Lyndon Johnson finì per varare il diritto dei neri al voto. Ne parliamo con Ava mentre tornano a crescere nelle grandi metropoli americane le tensioni e le proteste degli afroamericani contro le forze di polizia. «Io spero che la gente, uscendo dal cinema, si senta stimolata e motivata, e che magari si attivi a livello sociale e politico per cambiare e migliorare la situazione nel nostro paese», dice la DuVernay.
PENSA alle decisioni del Grand Jury a Ferguson e New York che hanno deciso di non procedere nei confronti dei poliziotti per le morti di Michael Brown ed Eric Garner?
«Ci penso tutto il tempo, penso all’aggressione della polizia e alla riforma fasulla della polizia, alle difficoltà della gente di colore in questo paese. La marcia di Selma, l’impegno di Martin Luther King, fu l’inizio di qualcosa che è ancora in via di sviluppo. Girare la scena in cui i poliziotti bianchi di Selma uccidono il giovane Jimmy Lee Jackson per noi è stato un momento emotivamente molto forte. Sapevamo che stavamo ricreando un momento che è ancora così vero nel nostro paese, cinquant’anni dopo».
Il sindaco di New York Bill De Blasio, con le sue aperture verso le proteste, è accusato dalla polizia di aver indirettamente provocato la morte dei due agenti a Brooklyn? Che ne pensa?
«Sono di Los Angeles e controllo, per così dire, il mio sindaco Eric Garcetti e osservo da vicino le cose che succedendo qui in California. Sospendo il mio giudizio su New York e i rapporti di forza tra il potere municipale, le forze di polizia e la cittadi- nanza».
Non le sembra grave che con Barack Obama alla presidenza ci sia ancora questo clima di sospetto tra neri e bianchi?
«Si tende sempre a puntare il dito su qualcuno. Il sindacato della polizia punta il dito su De Blasio, i repubblicani e quelli di destra su Obama, e io penso: e questo tipo che ha ammazzato i due poliziotti? Non dovremmo biasimare lui? C’è così tanto biasimo da tutte le parti… Certamente c’è stato un progresso dal 1965 a oggi, il fatto che io stia qui a parlare con lei in questo studio hollywoodiano ne è la prova. Lei è bianca, io sono nera e ci parliamo da pari a pari: non avrebbe potuto succedere prima di King. Questa conversazione è di per sé un segno di progresso».
Cosa si dovrebbe fare per migliorare la situazione qui in America, per allentare la tensione tra polizia e comunità afroamericana?
«Di sicuro bisogna affrontare una riforma seria delle forze dell’ordine e della polizia, compresi l’addestramento degli agenti, le misure di controllo, i metodi di de-escalation di situazioni conflittuali al fine di non far scattare gesti violenti e così via. Si spara troppo, e con troppa disinvoltura. La polizia è troppo militarizzata. Occorre una maggior comunicazione e interazione tra la polizia e le comunità meno abbienti nelle città americane».
Cosa pensa di Obama?
«Rispetto ai suoi predecessori Obama ha fatto tantissimo per noi neri, e per questo merita il nostro plauso. Certamente c’è molto ancora da fare. Ma pensiamo a quanti presidenti nel passato non hanno mai aperto la bocca sul tema del razzismo o delle tensioni razziali. Obama almeno ha avuto il coraggio di parlarne apertamente».


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