Ragioni in realtà note da tempo. Lapid e Livni hanno apertamente criticato il governo e il primo ministro e hanno disapprovato la legge che definisce Israele come Stato della nazione ebraica. Chiedono inoltre l’apertura del negoziato con i palestinesi. Senza dimenticare il miliardo e mezzo di dollari extra per le forze armate che Lapid non ha inserito nella legge di bilancio per il 2015. «Nelle recenti settimane, incluse le ultime 24 ore — ha detto Netanyahu — i ministri Lapid e Livni hanno aspramente attaccato il governo che guido. Non tollero più alcuna opposizione all’interno del governo ne’ ministri che da dentro il governo attaccano le politiche del governo stesso e i suoi leader”. Ed è proprio questo il punto. Netanyahu non ammette dissensi nei confronti dell’alleanza ideologica che lo lega al ministro delle finanze e leader dell’ultradestra Naftali Bennett. Un patto non dichiarato che ha prodotto negli ultimi due anni uno sviluppo senza precedenti della colonizzazione israeliana in Cisgiordania e a Gerusalemme Est e l’approvazione di provvedimenti e leggi ispirati al nazionalismo più radicale, come la legge su Israele Stato della nazione ebraica. Lapid e Livni aderiscono pienamente agli ideali del sionismo ma respingono l’alleanza tra Netanyahu e Bennett, consapevoli che potrebbe contribuire all’isolamento di Israele e ad innescare tensioni fortissime tra la maggioranza ebraica e gli arabo israeliani, sempre più cittadini di serie B.
Netanyahu e l’ultradestra guardano alle cose in modo opposto. Alle critiche internazionali, o meglio di Usa e Europa, credono di dovere rispondere accelerando i progetti per l’espansione delle colonie e con l’approvazione di nuove leggi che colpiscono i palestinesi (anche quelli di Israele). Più di tutto il premier e Bennett si oppongono alla nascita di uno Stato palestinese sovrano. Dopo il voto il premier pensa di potere formare un nuovo esecutivo omogeneo, fortemente orientato a destra e in grado di prendere decisioni unanimi su temi più scottanti della politica estera di Israele, a cominciare dalla questione del nucleare iraniano. Un attacco militare israeliano contro le centrali atomiche di Tehran al momento appare scongiurato, per l’opposizione degli Stati Uniti decisi, in apparenza, a raggiungere una intesa con l’Iran e ad evitare il conflitto. Ma Barack Obama, che con Netanyahu ha avuto sempre un rapporto difficile, si avvia a concludere il suo secondo mandato e il premier israeliano si augura di trovare alla Casa Bianca questa volta un esponente del partito repubblicano, forza politica americana molto più vicina alle sue posizioni. Il sito progressista israeliano +972 Magazine ieri spiegava che il voto sarà un referendum sullo stesso Netanyahu. E’ proprio quello che vuole il premier, perchè i sondaggi lo danno vincente e sostenuto da ampia porzione di israeliani sempre più sposati a destra.
Governo di unità nazionale in crisi anche nei Territori palestinesi occupati anche se, ad onor del vero, questo esecutivo sostenuto da Fatah e Hamas insieme, non è mai realmente esistito. In sei mesi non ha fatto molto il premier Rami Hamdallah non ha mai provato seriamente a prendere il controllo di Gaza, governata per sette anni dal movimento islamico. Hamas vuole nuovi negoziati per decidere cosa fare di un governo che, sulla base delle intese dello scorso aprile, doveva compiere molti passi e organizzare le elezioni. Fatah replica che il governo resta in vita e tocca agli islamisti farsi da parte a Gaza.