Netanyahu silura Livni e Lapid e sceglie il voto anticipato

by redazione | 3 Dicembre 2014 12:33

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Anche il par­la­mento fran­cese, dopo quelli di Gran Bre­ta­gna, Irlanda e Spa­gna, ha votato ieri a favore del rico­no­sci­mento dello Stato di Pale­stina in Cisgior­da­nia e nella Stri­scia di Gaza. Un passo sim­bo­lico che tut­ta­via non ha lasciato indif­fe­rente Israele che, anche in que­sta occa­sione, ha descritto il rico­no­sci­mento della Pale­stina come “dan­noso per la pace”. Il voto dei par­la­men­tari fran­cesi è giunto men­tre in Israele la crisi di governo rag­giun­geva la sua logica con­clu­sione. Il pre­mier Netanyahu, deciso a ricon­fer­marsi alla guida del paese alla guida di un nuovo governo per­sino più di destra, ieri ha “licen­ziato” i mini­stri dis­si­denti Tzipi Livni (giu­sti­zia) e Yair Lapid (finanze), entrambi cen­tri­sti, e ha annun­ciato che Israele andrà al voto al più pre­sto. Ieri in serata era pre­vi­sta una sua con­fe­renza stampa di spie­ga­zione delle ragioni che lo hanno por­tato a cac­ciare via dall’esecutivo i due ministri.

Ragioni in realtà note da tempo. Lapid e Livni hanno aper­ta­mente cri­ti­cato il governo e il primo mini­stro e hanno disap­pro­vato la legge che defi­ni­sce Israele come Stato della nazione ebraica. Chie­dono inol­tre l’apertura del nego­ziato con i pale­sti­nesi. Senza dimen­ti­care il miliardo e mezzo di dol­lari extra per le forze armate che Lapid non ha inse­rito nella legge di bilan­cio per il 2015. «Nelle recenti set­ti­mane, incluse le ultime 24 ore — ha detto Netanyahu — i mini­stri Lapid e Livni hanno aspra­mente attac­cato il governo che guido. Non tol­lero più alcuna oppo­si­zione all’interno del governo ne’ mini­stri che da den­tro il governo attac­cano le poli­ti­che del governo stesso e i suoi lea­der”. Ed è pro­prio que­sto il punto. Neta­nyahu non ammette dis­sensi nei con­fronti dell’alleanza ideo­lo­gica che lo lega al mini­stro delle finanze e lea­der dell’ultradestra Naf­tali Ben­nett. Un patto non dichia­rato che ha pro­dotto negli ultimi due anni uno svi­luppo senza pre­ce­denti della colo­niz­za­zione israe­liana in Cisgior­da­nia e a Geru­sa­lemme Est e l’approvazione di prov­ve­di­menti e leggi ispi­rati al nazio­na­li­smo più radi­cale, come la legge su Israele Stato della nazione ebraica. Lapid e Livni ade­ri­scono pie­na­mente agli ideali del sio­ni­smo ma respin­gono l’alleanza tra Neta­nyahu e Ben­nett, con­sa­pe­voli che potrebbe con­tri­buire all’isolamento di Israele e ad inne­scare ten­sioni for­tis­sime tra la mag­gio­ranza ebraica e gli arabo israe­liani, sem­pre più cit­ta­dini di serie B.

Netanyahu e l’ultradestra guar­dano alle cose in modo oppo­sto. Alle cri­ti­che inter­na­zio­nali, o meglio di Usa e Europa, cre­dono di dovere rispon­dere acce­le­rando i pro­getti per l’espansione delle colo­nie e con l’approvazione di nuove leggi che col­pi­scono i pale­sti­nesi (anche quelli di Israele). Più di tutto il pre­mier e Ben­nett si oppon­gono alla nascita di uno Stato pale­sti­nese sovrano. Dopo il voto il pre­mier pensa di potere for­mare un nuovo ese­cu­tivo omo­ge­neo, for­te­mente orien­tato a destra e in grado di pren­dere deci­sioni una­nimi su temi più scot­tanti della poli­tica estera di Israele, a comin­ciare dalla que­stione del nucleare ira­niano. Un attacco mili­tare israe­liano con­tro le cen­trali ato­mi­che di Teh­ran al momento appare scon­giu­rato, per l’opposizione degli Stati Uniti decisi, in appa­renza, a rag­giun­gere una intesa con l’Iran e ad evi­tare il con­flitto. Ma Barack Obama, che con Netanyahu ha avuto sem­pre un rap­porto dif­fi­cile, si avvia a con­clu­dere il suo secondo man­dato e il pre­mier israe­liano si augura di tro­vare alla Casa Bianca que­sta volta un espo­nente del par­tito repub­bli­cano, forza poli­tica ame­ri­cana molto più vicina alle sue posi­zioni. Il sito pro­gres­si­sta israe­liano +972 Maga­zine ieri spie­gava che il voto sarà un refe­ren­dum sullo stesso Neta­nyahu. E’ pro­prio quello che vuole il pre­mier, per­chè i son­daggi lo danno vin­cente e soste­nuto da ampia por­zione di israe­liani sem­pre più spo­sati a destra.

Governo di unità nazio­nale in crisi anche nei Ter­ri­tori pale­sti­nesi occu­pati anche se, ad onor del vero, que­sto ese­cu­tivo soste­nuto da Fatah e Hamas insieme, non è mai real­mente esi­stito. In sei mesi non ha fatto molto il pre­mier Rami Ham­dal­lah non ha mai pro­vato seria­mente a pren­dere il con­trollo di Gaza, gover­nata per sette anni dal movi­mento isla­mico. Hamas vuole nuovi nego­ziati per deci­dere cosa fare di un governo che, sulla base delle intese dello scorso aprile, doveva com­piere molti passi e orga­niz­zare le ele­zioni. Fatah replica che il governo resta in vita e tocca agli isla­mi­sti farsi da parte a Gaza.

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