Napolitano e le dimissioni: tempi ancora da valutare

by redazione | 2 Dicembre 2014 9:30

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Non è una pressione sul Parlamento, come qualcuno sarà magari tentato di suggerire. È piuttosto una preventiva messa in mora di quanti (e sono parecchi, nei diversi schieramenti) vorrebbero farsi scudo delle sue ormai vicine dimissioni per tornare all’eterno vizio dell’inconcludenza e deviare su un binario morto i provvedimenti in cantiere da mesi. Anzitutto, è ovvio, la riforma del sistema elettorale.

Questo alibi Giorgio Napolitano non intende offrirlo a nessuno. E così fa sapere che si riserva di decidere per proprio conto quando lasciare il Qui rinale, avvertendo che le sue scelte vanno «tenute completamente separate dall’attività di governo e dall’esercizio della funzione legislativa». Insomma: non si azzardi un calendario d’addio che spetta soltanto a lui decidere. Anche perché ha davanti a sé una finestra temporale, destinata ad aprirsi in gennaio, di sicuro breve ma che potrebbe allargarsi a fisarmonica. Secondo una discrezionalità che non sarà disgiunta da una sensibilità istituzionale adeguata al momento. Tale da escludere sovrapposizioni o minacce strumentali della partita politica, giocate appunto nel suo nome.
Ecco il senso di una nota ufficiosa che il capo dello Stato affida all’ufficio stampa del Quirinale a tarda sera, al culmine di una rincorsa di «voci e congetture» sul timing del mandato. Già era stato irritante, per il presidente della Repubblica, assistere nei giorni scorsi a continue illazioni sul nome del suo possibile successore e sulla data del suo ritiro. Alcuni boatos parlamentari davano per certa l’uscita dal Palazzo entro la prima metà di dicembre, mentre altre fonti si sbilanciavano indicando addirittura nel 20 gennaio il giorno del congedo e parlando di un «bimestre bianco».
Il comunicato spazza via la prima supposizione ricordando come Napolitano abbia detto fin dall’estate scorsa di essere «concentrato sull’oggi» e quindi sulla opportunità e necessità di «garantire la continuità ai vertici dello Stato nella fase impegnativa del semestre italiano di presidenza europea». Traducendo: non essendo mai stato smentito «quell’impegno», fino al 31 dicembre resterà al Quirinale, pienamente in carica, dedicandosi a incontri e attività programmati e confermati da settimane. Per il dopo, fa sapere, «compirà le proprie valutazioni», privatissime e non condizionabili, su modi e tempi del passo d’addio. E qui aggiunge il cenno più esplicito, quello per cui le sue dimissioni vanno «separate» dal lavoro del governo e delle Camere, cenno con cui vuole sottrarsi a ogni speculazione.
È questo il punto politico fondamentale della nota di ieri sera. Togliere argomenti a coloro che intendono far slittare (e ancora una volta probabilmente sine die) leggi attese da anni, come quella elettorale, con il pretesto di una precedenza istituzionale. Vale a dire: se concretamente si profilasse l’approdo dell’Italicum al Senato nel mese di gennaio (mentre assai più facile sarà, poi, il suo varo alla Camera), lui potrebbe «tarare» la formalizzazione del ritiro anticipato in maniera di non essere d’ostacolo.
L’intento sembra di disinnescare lo scontro apertosi tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi che, oltre a minare alle basi il patto del Nazareno — e, dunque, diroccare ogni altra chance riformatrice —, rischia di far entrare in una fibrillazione incontrollabile l’intero scenario politico. Al di là delle prove di forza tra i due partiti e al loro stesso interno, la sfida della legge elettorale è per Napolitano irrinunciabile. Non per nulla ne ha parlato infinite volte negli ultimi tre anni, ancor prima che la Consulta sanzionasse come incostituzionale il sistema del Porcellum. Sistema che — non ci dovrebbe essere bisogno di ricordarlo — alle ultime elezioni ci ha dato tre grandi minoranze e un’assoluta precarietà di governo.
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