La malattia delle grandi opere

La malattia delle grandi opere

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Di fronte alla crisi eco­no­mica che viviamo, non c’è serio osser­va­tore eco­no­mico che non affermi che le risorse pub­bli­che devono essere uti­liz­zate con poli­ti­che di medio e lungo periodo. Non ser­vono medi­cine estem­po­ra­nee, spe­cie se hanno dimo­strato il fallimento.

La cul­tura delle grandi opere inau­gu­rata da Ber­lu­sconi e Tre­monti nel 2001 con la Legge obiet­tivo ha vuo­tato le casse dello Stato e non ha dato una seria pro­spet­tiva di svi­luppo al paese.

Un fiume di soldi affi­dato al fame­lico car­tello delle grandi imprese — coo­pe­ra­tive com­prese — che non ha fatto aumen­tare di un mil­li­me­tro l’efficienza com­ples­siva del sistema infra­strut­tu­rale e ha depre­dato le casse dello Stato.

A que­sto mador­nale errore di pro­spet­tiva si è aggiunto il malaf­fare ali­men­tato dalla man­canza di regole e di con­trolli. Dall’affidamento dei lavori ogni ruolo dello Stato scom­pare: Corte dei Conti ed auto­rità degli appalti con­ti­nuano a denun­ciare che le grandi opere ven­gono aggiu­di­cate sulla base di pro­getti ini­ziali impre­cisi e vaghi. Ci pen­sano poi un serie inter­mi­na­bile di varianti in corso d’opera (26 solo per la metro­po­li­tana «C» di Roma), arbi­trati per valu­tare gli ine­vi­ta­bili con­ten­ziosi e finan­ziare studi legali amici. Gli scan­dali del Mose di Vene­zia, dell’Expo di Milano, di Infra­strut­ture lom­barde, dell’attraversamento fer­ro­via­rio di Firenze, sono tutte vicende che si col­lo­cano in que­sto qua­dro. Ma pro­prio il caso della metro «C» di Roma apre la terza — tra­gica — con­se­guenza della cul­tura delle grandi opere e della scom­parsa del ruolo dello Stato: l’intreccio tra imprese e mala­vita. Nell’inchiesta romana è emerso, come era stato da tempo denun­ciato da Report, che imprese in mano alla mala­vita par­te­ci­pa­vano all’appalto.

Con lo sbocca Ita­lia di Renzi e Lupi si con­ti­nua su que­sta strada. Al car­tello di imprese che ruota intorno a Vito Bon­si­gnore, spon­sor dell’inutile auto­strada Orte Ravenna Mestre ed espo­nente del Ncd di Alfano, si vogliono affi­dare 6 miliardi di euro. La Tav è sem­pre ai primi posti dello spreco di denaro pub­blico. Di recente anche alcuni soste­ni­tori dell’utilità dell’opera hanno mani­fe­stato dubbi sul pre­ven­tivo dell’opera, ma sono stati zit­titi: si deve andare avanti. Il mini­stro per le infra­strut­ture Lupi pochi giorni fa ha ria­perto addi­rit­tura la que­stione del ponte sullo Stretto di Mes­sina: sa bene che l’opera non è fat­ti­bile ma l’importante è inviare mes­saggi ine­qui­vo­ca­bili al ristretto numero di potenti imprese.

Forse Renzi ha sof­ferto l’attivismo del mini­stro ciel­lino e ieri è riu­scito a supe­rare se stesso. A una Roma che sta affon­dando nel fango di un’inchie­sta che ha fatto emer­gere il con­trollo degli appalti pub­blici da parte della mala­vita orga­niz­zata, ha pro­messo altri sei miliardi di euro da spen­dere nella rea­liz­za­zione delle Olim­piadi del 2024, l’apoteosi della discre­zio­na­lità. Uno degli uomini più entu­sia­sti dell’annuncio è stato Malagò, che di dero­ghe deve inten­dersi abba­stanza avendo par­te­ci­pato alla scan­da­losa vicenda dei mon­diali di nuoto del 2009. Il secondo in ordine di entu­sia­smo è il sin­daco Marino che pro­prio oggi por­terà in un con­si­glio comu­nale l’approvazione della più gigan­te­sca deroga urba­ni­stica degli ultimi dieci anni: un milione di metri cubi in aperta cam­pa­gna rega­lati a James Pal­lotta con la scusa del nuovo sta­dio di cal­cio delle Roma.

Invece di defi­nire poli­ti­che di rilan­cio indu­striale, di met­tere in sicu­rezza del ter­ri­to­rio che frana ad ogni piog­gia e rico­struire regole, chi governa il paese con­ti­nua a per­se­guire l’effimero e per­pe­tuare il porto delle neb­bie. Tanto saranno le fami­glie ita­liane a pagare. Con l’azione di Ric­cardo Man­cini, fede­lis­simo di Ale­manno, quale pre­si­dente dell’Eur sono stati sper­pe­rati cen­ti­naia di milioni di euro in errori e malaf­fare. Con l’ipotesi delle Olim­piadi del 2024, il ver­mi­naio che sta distrug­gendo il paese viene rilanciato.



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