La mafia nera di Roma Alemanno tra gli indagati bufera sulla giunta Marino

La mafia nera di Roma Alemanno tra gli indagati bufera sulla giunta Marino

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SI ERANO presi Roma. Le sue strade e il Campidoglio. Ne avevano ridotto un sindaco, Gianni Alemanno, a utile pupazzo, né il cambio di maggioranze li aveva sorpresi, perché — dicevano — di «nove cavalli » (gli assessori) della giunta Marino, «sei sono nostri». E se l’erano presa perché Lui, Massimo Carminati, er Cecato, er Pirata, l’ex camerata dei “Nar” figlio ed epigono della Banda della Magliana, di Roma aveva compreso meglio di chiunque altro l’anima.
ROMA .
È iniziata all’alba, con centinaia di perquisizioni. È proseguita con 37 arresti e 39 indagati. Ed è terminata con le dimissioni di due esponenti del Pd, invischiati in quel “mondo di mezzo” che la procura di Roma ha chiamato Mafia Capitale, Mirko Coratti e Daniele Ozzimo, rispettivamente presidente dell’assemblea capitolina e assessore alla casa. Una giornata di terremoto, politico e criminale, quella che ieri ha squassato la Città Eterna, facendo tremare la nuova giunta Marino e radendo quasi al suolo il trascorso governo Alemanno, indagato anche lui per 416bis e corruzione aggravata. Una corruzione bipartisan che ha coinvolto gli ex ad di Ama e di Eur spa Panzironi e Mancini (arrestati), Luca Gramazio, ma anche Patanè, attuale consigliere regionale e il responsabile dell’ufficio Trasparenza in Campidoglio Politano.
Cinquecento carabinieri del comando provinciale e cento finanzieri del Gico sono entrati ovunque ieri: dal Campidoglio alla Regione Lazio, dagli appartamenti della criminalità organizzata alle sedi di associazioni e delle municipalizzate. E ne sono usciti con carte e documenti, e con sequestri per 204 milioni di euro, ora al vaglio dei pm Luca Tescaroli, Paolo Ielo e Giuseppe Cascini titolari della maxi inchiesta. «Siamo solo all’inizio», ha dichiarato il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone in conferenza stampa, come se, quanto accaduto fino ad ora non avesse già traumatizzato abbastanza la città.
Una cupola mafiosa — quella scoperta dai militari del Ros guidati dagli ufficiali Stefano Russo e Roberto Casagrande che da quattro anni lavorano a questa inchiesta — che ruotava attorno alla figura dell’ex boss nar della Magliana Massimo Carminati. Era lui il capo, era lui a decidere tutto: dall’approvazione di bilanci in giunta, all’assegnazione di appalti, alla nomina di politici in posti strategici e funzionali all’organizzazione. E sembra incredibile, sfogliando le pagine dell’ordinanza di oltre mille pagine firmata dal gip Flavia Costantini, come a muovere le fila del mondo politico e imprenditoriale romano fosse sempre lui, Carminati, er Guercio.
Forte della sua caratura criminale, temuto e rispettato da tutti, con la complicità degli arrestati per 416 bis e la corruzione di alcuni indagati, era riuscito a infilarsi nella gestione dei campi nomadi, delle strutture riservate a profughi e immigrati minorenni, alla raccolta dei rifiuti e alla manutenzione del verde pubblico.
Seduto sulla cupola aveva Roma ai suoi piedi.
A fine giornata il ministro dell’interno Angelino Alfano commenta l’inchiesta della procura di Roma: «Ho una grande considerazione di Pignatone e sono convinto della solidità dell’indagine».


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