Mafia capi­tale, niente resterà come prima

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Mafia capi­tale. E’ la defi­ni­zione che usa il pro­cu­ra­tore capo Giu­seppe Pigna­tone nel descri­vere la rete ille­gale che negli ultimi anni ha con­trol­lato e gestito buona parte della spesa comu­nale. Una rete che la magi­stra­tura romana ritiene del tutto «ori­gi­nale», ma pur sem­pre assi­mi­la­bile alla cri­mi­na­lità orga­niz­zata tra­di­zio­nale. E per­tanto per­se­gui­bile per il gra­vis­simo reato con­tem­plato nell’articolo 416bis del Codice penale: asso­cia­zione a delin­quere di stampo mafioso.

Meno pit­to­re­sca e barocca, depu­rata dalla reto­rica di cosche, car­telli e man­da­menti, giu­ra­menti e affi­lia­zioni, ma più affa­ri­stica e fac­cen­diera. Inte­res­sata all’accaparramento della spesa pub­blica, attra­verso l’ingerenza nell’assegnazione dei bandi di gara. Senza par­ti­co­lari distin­zioni: dagli appalti delle aziende muni­ci­pa­liz­zate ai finan­zia­menti per acco­gliere rifu­giati richie­denti asilo, dalle opere pub­bli­che alla manu­ten­zione del verde. Un sistema cri­mi­nale paras­si­ta­rio, che si è ali­men­tato con quelle risorse pub­bli­che che l’amministrazione locale desti­nava alla manu­ten­zione urbana e ai ser­vizi sociali.

Dai tren­ta­sette arre­stati e dal cen­ti­naio di inda­gati si coglie l’acido intrec­cio su cui quest’attività ille­gale poteva con­tare. Si va dall’ex sin­daco Ale­manno all’attuale pre­si­dente del Con­si­glio comu­nale e a un asses­sore in carica, oltre ad alcuni con­si­glieri regio­nali. Da pre­si­denti, ammi­ni­stra­tori dele­gati e diri­genti di aziende comu­nali a ex fun­zio­nari dell’amministrazione cen­trale e assi­stenti e col­la­bo­ra­tori a vario titolo. Più, un cospi­cuo gruppo di tito­lari di aziende e coo­pe­ra­tive che gesti­scono impor­tanti atti­vità di servizio.

Sotto la cupola nera di Car­mi­nati er cecato, Bru­gia, Pan­zi­roni e Man­cini, si arti­co­la­vano tutti quei fila­menti neces­sari a con­trol­lare i tra­sfe­ri­menti finan­ziari, più spesso pilo­tando sur­ret­ti­zia­mente i bandi, e a volte asse­gnan­doli con moda­lità dirette e sbri­ga­tive. Ed è scon­vol­gente che die­tro il grumo fascio­ma­fioso anni­da­tosi nel corso del quin­quen­nio di Ale­manno si scor­gano diverse figure ina­spet­tate, le stesse che l’inchiesta giu­di­zia­ria ritiene arte­fici o quan­to­meno com­plici del malaf­fare. Un soda­li­zio nel quale non si distin­guono più né le appar­te­nenze poli­ti­che né le ispi­ra­zioni ideo­lo­gi­che. Un inguar­da­bile mix tenuto insieme dal solo istinto all’accaparramento.

E’ una tem­pe­sta poli­tica, quella che si è abbat­tuta su Roma. Sarà certo neces­sa­rio (e dove­roso) seguire gli svi­luppi dell’inchiesta giu­di­zia­ria, ma l’impressione è che niente resterà come prima. Chi pesan­te­mente, chi meno, chi solo di stri­scio, ma sotto accusa sono pro­prio i grandi par­titi cit­ta­dini, che in più, nel dipa­narsi di quest’avvilente vicenda, lasciano intra­ve­dere quell’inconfessabile legame dove non esi­stono più distin­zioni ma solo affa­ri­smo e corruzione.

Come finirà lo vedremo. Ma già oggi si può dire che, tra dichia­ra­zioni d’innocenza, dimis­sioni spon­ta­nee o for­zate che siano, il qua­dro poli­tico cit­ta­dino non potrà uscire indenne da que­sta deva­stante vicenda. Che tut­ta­via dovrebbe lasciare indenne il sin­daco Marino, che in più d’un’occasione si è segna­lato per la sua estra­neità al con­so­cia­ti­vi­smo del pas­sato, com­preso quello alle­vato nel suo par­tito.
E pen­sare che fino a qual­che giorno fa ci si sbrac­ciava per qual­che multa non pagata e si orga­niz­za­vano marce nelle peri­fe­rie. Erano più o meno gli stessi che oggi si ritro­vano a difen­dersi da accuse ben più gravi.



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