Dissolti, spostati, imposti con la forza. I confini e le battaglie attorno a essi sono stati al centro del 2014: come lo erano stati un secolo fa, nel 1914, allo scoppio della Prima Guerra mondiale. Ed è proprio a quell’evento originario della storia contemporanea che tutto oggi si riconduce, come un ciclo che ritorna su se stesso.
Cos’è infatti il Califfato proclamato dall’Isis (lo Stato islamico di Iraq e Siria) se non la messa in questione della mappa del Medio Oriente disegnata dagli europei al tramonto dell’Impero Ottomano? La Linea Sykes-Picot, tracciata nella sabbia da sir Mark Sykes e da François George-Picot nel 1916, ripartiva il Levante tra Gran Bretagna e Francia e gettava le basi per la formazione degli Stati arabi moderni.
Il sovvertimento di quell’ordine geopolitico è l’obiettivo dichiarato dell’Isis. Già in un video intitolato «La fine di Sykes-Picot» i miliziani islamici proclamavano che «questo non è il primo confine che spezzeremo, ne spezzeremo di altri». E lo stesso leader dell’Isis, l’autoproclamato Califfo al-Baghdadi, in un sermone alla Grande Moschea di Mosul lo scorso luglio prometteva che «la nostra avanzata non si fermerà fino a quando non avremo conficcato l’ultimo chiodo nella bara della cospirazione di Sykes-Picot».
Ormai l’Isis controlla un territorio grande quanto la Gran Bretagna, al cui interno è evaporato il confine fra Iraq e Siria, e minaccia le frontiere di Turchia e Giordania. E d’altra parte la dizione stessa di Califfato fa risorgere una realtà teologico-politica che era rimasta sepolta sotto le macerie della Prima Guerra Mondiale: quel Califfato ottomano abolito dalle riforme di Mustafa Kemal Atatürk nel 1924.
Ma il Medio Oriente non è l’unico quadrante geografico dove gli eventi e le parole puntano alla riscrittura degli esiti della Grande Guerra. La campagna ucraina di Vladimir Putin va ben oltre l’obiettivo di soggiogare i Piccoli Russi. Certo, l’annessione della Crimea ha rappresentato il primo cambiamento violento dei confini in Europa dall’epoca degli Anschluss hitleriani. E i discorsi sulla Novorossiya, la Nuova Russia che include le regioni orientali dell’Ucraina, rimandano direttamente all’Impero zarista. Ma lo stesso Putin si è scagliato contro il Trattato di Brest-Litovsk del 1918, con cui la neonata Russia sovietica fu costretta a cedere i Baltici e a riconoscere l’indipendenza dell’Ucraina. E’ quel vulnus di un secolo fa che il Cremlino intende sanare.
Fin qui i cambiamenti delle frontiere terrestri avvenuti nell’anno trascorso. Ma ci sono anche le frontiere aeree e marittime. Come quelle al centro della contesa in Estremo Oriente che oppone la Cina ai Paesi vicini. Pechino ha esteso la propria Zona di Identificazione aerea su un’area che si sovrappone a quella del Giappone. E ha gettato avamposti marittimi nelle acque rivendicate da Vietnam e Filippine. La base di queste pretese va ancora una volta indietro nella storia, a quella «linea dai nove tratti» disegnata per la prima volta nel 1936, ben prima della nascita della Repubblica popolare.
Ma per tanti nuovi confini che sorgono, altri restano immutati. E’ il caso del Vallo di Adriano che separa la Scozia dall’Inghilterra. Quest’anno avrebbe potuto trasformarsi in una frontiera di Stato, ma il referendum perso dagli indipendentisti di Edimburgo lo ha fatto rimanere al rango di curiosità archeologica. E così il confine tra Catalogna e Spagna non è andato oltre la demarcazione amministrativa.
Una frontiera di altra natura, ideologica più che materiale, è venuta meno col finire del 2014: il Muro fra Cuba e gli Stati Uniti. Dopo la spettacolare iniziativa diplomatica di Barack Obama, anche lo stretto della Florida si è fatto più vicino.