Ebbene, non solo i commercianti approvano lo smantellamento dell’articolo 18 (e vabbè, era pure scontato), ma dall’altro lato chiedono al governo di non manomettere tutte le altre forme «flessibili» (loro le definiscono così) di contratto. Insomma, precari a tutto tondo.
«Nella legge delega ci sono contenuti importanti che possono oggettivamente migliorare il mercato del lavoro, come la semplificazione della burocrazia e la facilitazione per nuove assunzioni, ma occorre capire cosa conterranno i decreti legislativi», ha spiegato il presidente Carlo Sangalli, promuovendo sostanzialmente quanto fatto finora. E quindi anche il trattamento riservato all’articolo 18: d’altronde, il confindustriale Giorgio Squinzi qualche giorno fa aveva detto di essere «molto soddisfatto».
Ma poi Sangalli ha aggiunto le richieste avanzate dai commercianti: «Sarebbe deleterio per esempio se i decreti legislativi comportassero ulteriori limiti ai contratti flessibili o nuovi costi a carico delle imprese. La delega è un tema che inizia con buone premesse, ma per valutarlo compitamente bisogna leggere tutto lo svolgimento».
Paletti posti alla fase che si svolgerà da gennaio in poi, quando l’esecutivo — se nei prossimi giorni riuscirà a far approvare definitivamente il testo al Senato — comincerà a elaborare i decreti attuativi.
Confcommercio tiene soprattutto a conservare le tipologie introdotte dalla legge 30 (nota anche come «Biagi»), utile a suo dire per garantire la competitività del settore, e servire con la variabilità offerta dai suoi tanti strumenti, anche i mercati «di nicchia»: «Nuovi istituti come il “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti” — scrive l’associazione nel suo documento politico — non possono di per sé sostituire quelle tipologie contrattuali flessibili che hanno consentito nell’ultimo decennio di restituire qualità concorrenziale e vitalità occupazionale a comparti strategici per il nostro Paese».
Poi il timore che Renzi, come fece a suo tempo la ministra Fornero, possa irrigidire il mercato: «L’ipotesi di riordino del Jobs Act rischia di tradursi in ulteriori interventi “riduttivi” sulle tipologie contrattuali, che sarebbero oltremodo controproducenti, basandosi sulla erronea convinzione che i settori economici e le imprese che vi operano siano tutte uguali, le loro esigenze tutte riconducibili a modelli gestionali “standard”. Cosi non è, anzi, maggiori opzioni per le assunzioni aumentano le opportunità di impiego. Le riforme del lavoro infatti hanno avuto un successo laddove si sono ispirate alla strategia della progressiva copertura, con strumenti ad hoc, dei fabbisogni delle “nicchie” del mercato».
«In Italia vi sono in realtà 12 tipologie di lavoro, non 40, compreso il lavoro autonomo — rivendica poi Confcommercio — Tipologie che possono avere diverse declinazioni di orario, part time o full time, o applicarsi a fasce di età diverse (come l’apprendistato). Occorre quindi che ogni previsione in materia di flessibilità e di organizzazione del lavoro consenta una reale adattabilità delle imprese ai cambiamenti organizzativi e di mercato, tale da mantenerle competitive».
Inoltre, i commercianti chiedono di organizzare meglio le attività ispettive, «anche con un coordinamento unico», idea già degli stessi ispettori del lavoro e recepita poi dal ministro Giuliano Poletti. Non appoggiano l’idea di un salario minimo orario, preferendo «il contratto nazionale». Bene dunque per i sindacati, che almeno su questo punto sono d’accordo? Mica tanto, perché subito dopo i commercianti chiedono che «la contrattazione aziendale e territoriale sia pienamente agibile, anche in modifica del contratto nazionale» (ma già questo principio, va detto, oggi è perfettamente assolto dall’articolo 8 introdotto da Sacconi).
Va segnalata un’ultima chicca: se è vero che promuovono la riforma dell’articolo 18, i commercianti però chiedono al governo la «massima attenzione al rischio che l’indennizzo economico per il licenziamento illegittimo assuma dimensioni tali da risultare ancora una volta sproporzionato rispetto al panorama internazionale».