Jobs Act, commercianti sfacciati

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Più sfac­ciati di così, vera­mente non si può. La palma di asso­cia­zione «più pre­ca­riz­zante» que­sta volta non va alla Con­fin­du­stria — che in que­sti mesi ha fatto pres­sing per abo­lire l’articolo 18 — ma la con­qui­stano i col­le­ghi della Con­f­com­mer­cio. Che ieri, in un docu­mento poli­tico ela­bo­rato e dif­fuso alla vigi­lia dell’approvazione defi­ni­tiva del Jobs Act, si sono con­cen­trati su un altro aspetto: l’annunciato “sfol­ti­mento” di tutti gli altri con­tratti (le ormai cele­bri 46 forme diverse) più volte riba­dito dal pre­mier Mat­teo Renzi per ren­dere in qual­che modo più dige­ri­bile la riforma della giu­sta causa.

Ebbene, non solo i commercianti appro­vano lo sman­tel­la­mento dell’articolo 18 (e vabbè, era pure scon­tato), ma dall’altro lato chie­dono al governo di non mano­met­tere tutte le altre forme «fles­si­bili» (loro le defi­ni­scono così) di con­tratto. Insomma, pre­cari a tutto tondo.

«Nella legge delega ci sono con­te­nuti impor­tanti che pos­sono ogget­ti­va­mente miglio­rare il mer­cato del lavoro, come la sem­pli­fi­ca­zione della buro­cra­zia e la faci­li­ta­zione per nuove assun­zioni, ma occorre capire cosa con­ter­ranno i decreti legi­sla­tivi», ha spie­gato il pre­si­dente Carlo San­galli, pro­muo­vendo sostan­zial­mente quanto fatto finora. E quindi anche il trat­ta­mento riser­vato all’articolo 18: d’altronde, il con­fin­du­striale Gior­gio Squinzi qual­che giorno fa aveva detto di essere «molto soddisfatto».

Ma poi San­galli ha aggiunto le richie­ste avan­zate dai commercianti: «Sarebbe dele­te­rio per esem­pio se i decreti legi­sla­tivi com­por­tas­sero ulte­riori limiti ai con­tratti fles­si­bili o nuovi costi a carico delle imprese. La delega è un tema che ini­zia con buone pre­messe, ma per valu­tarlo com­pi­ta­mente biso­gna leg­gere tutto lo svolgimento».

Paletti posti alla fase che si svol­gerà da gen­naio in poi, quando l’esecutivo — se nei pros­simi giorni riu­scirà a far appro­vare defi­ni­ti­va­mente il testo al Senato — comin­cerà a ela­bo­rare i decreti attuativi.

Con­f­com­mer­cio tiene soprat­tutto a con­ser­vare le tipo­lo­gie intro­dotte dalla legge 30 (nota anche come «Biagi»), utile a suo dire per garan­tire la com­pe­ti­ti­vità del set­tore, e ser­vire con la varia­bi­lità offerta dai suoi tanti stru­menti, anche i mer­cati «di nic­chia»: «Nuovi isti­tuti come il “con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato a tutele cre­scenti” — scrive l’associazione nel suo docu­mento poli­tico — non pos­sono di per sé sosti­tuire quelle tipo­lo­gie con­trat­tuali fles­si­bili che hanno con­sen­tito nell’ultimo decen­nio di resti­tuire qua­lità con­cor­ren­ziale e vita­lità occu­pa­zio­nale a com­parti stra­te­gici per il nostro Paese».

Poi il timore che Renzi, come fece a suo tempo la mini­stra For­nero, possa irri­gi­dire il mer­cato: «L’ipotesi di rior­dino del Jobs Act rischia di tra­dursi in ulte­riori inter­venti “ridut­tivi” sulle tipo­lo­gie con­trat­tuali, che sareb­bero oltre­modo con­tro­pro­du­centi, basan­dosi sulla erro­nea con­vin­zione che i set­tori eco­no­mici e le imprese che vi ope­rano siano tutte uguali, le loro esi­genze tutte ricon­du­ci­bili a modelli gestio­nali “stan­dard”. Cosi non è, anzi, mag­giori opzioni per le assun­zioni aumen­tano le oppor­tu­nità di impiego. Le riforme del lavoro infatti hanno avuto un suc­cesso lad­dove si sono ispi­rate alla stra­te­gia della pro­gres­siva coper­tura, con stru­menti ad hoc, dei fab­bi­so­gni delle “nic­chie” del mercato».

«In Ita­lia vi sono in realtà 12 tipo­lo­gie di lavoro, non 40, com­preso il lavoro auto­nomo — riven­dica poi Con­f­com­mer­cio — Tipo­lo­gie che pos­sono avere diverse decli­na­zioni di ora­rio, part time o full time, o appli­carsi a fasce di età diverse (come l’apprendistato). Occorre quindi che ogni pre­vi­sione in mate­ria di fles­si­bi­lità e di orga­niz­za­zione del lavoro con­senta una reale adat­ta­bi­lità delle imprese ai cam­bia­menti orga­niz­za­tivi e di mer­cato, tale da man­te­nerle competitive».

Inol­tre, i com­mer­cianti chie­dono di orga­niz­zare meglio le atti­vità ispet­tive, «anche con un coor­di­na­mento unico», idea già degli stessi ispet­tori del lavoro e rece­pita poi dal mini­stro Giu­liano Poletti. Non appog­giano l’idea di un sala­rio minimo ora­rio, pre­fe­rendo «il con­tratto nazio­nale». Bene dun­que per i sin­da­cati, che almeno su que­sto punto sono d’accordo? Mica tanto, per­ché subito dopo i com­mer­cianti chie­dono che «la con­trat­ta­zione azien­dale e ter­ri­to­riale sia pie­na­mente agi­bile, anche in modi­fica del con­tratto nazio­nale» (ma già que­sto prin­ci­pio, va detto, oggi è per­fet­ta­mente assolto dall’articolo 8 intro­dotto da Sacconi).

Va segna­lata un’ultima chicca: se è vero che pro­muo­vono la riforma dell’articolo 18, i commercianti però chie­dono al governo la «mas­sima atten­zione al rischio che l’indennizzo eco­no­mico per il licen­zia­mento ille­git­timo assuma dimen­sioni tali da risul­tare ancora una volta spro­por­zio­nato rispetto al pano­rama internazionale».



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