Jobs act, Cgil e Uil danno battaglia Poletti: nessuna trattativa sui decreti

by redazione | 20 Dicembre 2014 9:02

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ROMA Il nuovo segretario della Uil, Carmelo Barbagallo, promette «lotte crescenti» e si lamenta perché «ancora una volta sul tavolo non c’era uno straccio di documento». Il numero uno della Cgil, Susanna Camusso, dice che quello proposto dal governo è un «contratto a monetizzazione crescente» e lo definisce una «nuova strenna natalizia per le aziende». La Cisl, invece, continua a smarcarsi dopo il «no» allo sciopero generale e con il segretario confederale Luigi Petteni dice «ok al nuovo contratto ma a patto che gli indennizzi siano adeguati».
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti è l’unico a non scendere in sala stampa dopo l’incontro fra governo, sindacati e imprenditori sul primo decreto attuativo del Jobs act, quello che riguarda il contratto a tutele crescenti con il nuovo articolo 18 che limita a pochissimi casi il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo. Negli ultimi giorni Poletti si era speso per una linea più morbida ma adesso tiene le distanze, nei fatti e nelle parole: «Il governo – fa sapere – raccoglie le istanze e le sollecitazioni ma poi prenderà le sue decisioni. Insomma, non ci sarà nessuna trattativa».
In realtà qualcosa si sta muovendo in vista del consiglio dei ministri della vigilia di Natale. Sembra saltata l’estensione delle nuove regole sui licenziamenti alle piccole aziende, quelle al di sotto dei 16 dipendenti. C’era l’idea di applicare anche a loro, in versione light , il meccanismo di calcolo per gli indennizzi ma le regole dovrebbero rimanere quelle attuali. Sembra in bilico l’applicazione del nuovo regime dei licenziamenti economici anche a quelli collettivi: in questo caso il reintegro sarebbe saltato, per i nuovi assunti, in caso di mancato rispetto delle procedure di consultazione previste dalla legge. Ma nelle ultime ore quello che sembrava un punto fermo è stato messo in discussione. Non ci sono grandi novità, invece, sul problema più discusso e cioè sulla riscrittura dell’articolo 18: il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento disciplinare illegittimo sarà possibile solo quando è stato deciso sulla base di un «fatto materiale insussistente». Non un fatto grave, tanto meno un reato. Mentre non è stata ancora presa una decisione sull’opzione aziendale, e cioè la possibilità per l’aziende di «superare» il reintegro deciso dal giudice pagando un indennizzo più alto.
Confermata la volontà di inserire anche lo «scarso rendimento» del lavoratore tra le ragioni del licenziamento economico, che quindi eliminerebbe la possibilità del reintegro. Lo scarso rendimento, però, andrebbe inteso in senso oggettivo: non come scarso impegno personale ma come impossibilità a svolgere alcune mansioni. Resta da fissare l’indennizzo minimo, per evitare che le aziende possano essere incentivate ad assumere incassando i contributi e poi licenziare a costo quasi zero. L’ipotesi più probabile è un minimo di tre mesi di stipendio, che potrebbero scendere a due in caso di conciliazione. Nel secondo caso (risorse permettendo) potrebbero essere esentasse.
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