Gaza devastata scivola verso un nuovo conflitto Hamas-Israele

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Non ci sono parole suf­fi­cienti per descri­vere la situa­zione di Gaza. E non ci rife­riamo solo all’emergenza uma­ni­ta­ria figlia dell’offensiva deva­stante di Israele (Mar­gine Pro­tet­tivo, 2200 morti pale­sti­nesi, 73 israe­liani) scat­tata la scorsa estate. Nel disin­te­resse del mondo la Stri­scia sta len­ta­mente ma ine­so­ra­bil­mente sci­vo­lando verso un nuovo con­flitto. I nego­ziati annun­ciati al Cairo per il pro­lun­ga­mento del ces­sate il fuoco tra Israele e Hamas (e le altre for­ma­zioni pale­sti­nesi), entrato in vigore lo scorso 26 ago­sto, non hanno mai preso il via. Il qua­dro “mili­tare” è tor­nato ad essere quello pre­ce­dente alla guerra di luglio e ago­sto. La con­di­zione di 1,8 milioni di pale­sti­nesi, di fatto pri­gio­nieri nella loro terra, non è mutata, anche solo di un cen­ti­me­tro, a causa del blocco israe­liano di Gaza e anche della chiu­sura della fron­tiera meri­dio­nale attuata dall’Egitto. Il regime del pre­si­dente al Sisi ha dato l’ordine alle forze armate di creare “per motivi di sicu­rezza” una zona-cuscinetto lungo i 13 km di con­fine con Gaza, a costo di demo­lire cen­ti­naia e cen­ti­naia di abi­ta­zioni civili egi­ziane e di tra­sfe­rire in cen­tri più lon­tani dalla Stri­scia migliaia di abi­tanti del Sinai.

Il clima si fa cupo. Israele la scorsa set­ti­mana ha bom­bar­dato Gaza con la sua avia­zione, per la prima volta in quasi quat­tro mesi, e in que­sti ultimi giorni le sue forze navali e ter­re­stri hanno ripreso a spa­rare can­no­nate a scopo inti­mi­da­to­rio (almeno nella mag­gior parte dei casi) su Suda­nieh, Aba­san, Khan Yunis, Rafah e altre loca­lità. Come sem­pre le moto­ve­dette mili­tari aprono il fuoco verso i pesca­tori di Gaza che vio­le­reb­bero i limiti del ristretto angolo di mare dove sono auto­riz­zati a spin­gersi. Hamas ha riaf­fer­mato, attra­verso uno dei suoi lea­der prin­ci­pali, Musa Abu Mar­zouk, che farà rispet­tare il ces­sate il fuoco ma le sue forze di sicu­rezza (negli ultimi quat­tro mesi) non sono riu­scite a fer­mare i lanci di tre razzi da parte di gruppi armati minori. E nel frat­tempo la sua mili­zia, le Bri­gate Ezze­din al Qas­sam, con­ti­nua con rego­la­rità a testare, con lanci verso il mare, nuovi razzi e mis­sili, pro­ba­bil­mente quelli mostrati durante la parata nelle strade di Gaza orga­niz­zata a metà mese per il 26esimo anni­ver­sa­rio della fon­da­zione del movi­mento isla­mico. Così in Israele – che andrà al voto tra tre mesi – si comin­cia a par­lare di “nuovo round” per distrug­gere le gal­le­rie che Hamas sta­rebbe rico­struendo sotto le linee tra il ter­ri­to­rio di Gaza e quello israeliano.

Ciò men­tre la sta­gione fredda sta met­tendo a dura prova la popo­la­zione civile, senza ener­gia elet­trica per gran parte del giorno. I più sfor­tu­nati sono i circa 100mila pale­sti­nesi ai quali i bom­bar­da­menti israe­liani hanno distrutto o dan­neg­giato l’abitazione. Que­sti uomini, donne e bam­bini spe­rano in una rico­stru­zione che non è nep­pure comin­ciata. Anche per­chè Israele con­ti­nua a porre forti restri­zioni all’ingresso a Gaza dei mate­riali edili. L’ong inter­na­zio­nale Oxfam rife­ri­sce che a novem­bre sono entrati a Gaza appena 287 camion cari­chi con 40 ton­nel­late di mate­riali per la rico­stru­zione. Una goc­cia nel mare del biso­gno. Per essere rico­struita entro tre anni, Gaza dovrebbe rice­vere ogni giorno 175 auto­carri con 7mila ton­nel­late di cemento, mat­toni e molto altro. Secondo i cal­coli delle agen­zie inter­na­zio­nali, i bom­bar­da­menti aerei e i tiri di carro armato hanno distrutto com­ple­ta­mente 7 mila case di Gaza, altre 89 mila hanno subito danni irre­pa­ra­bili o sono state distrutte in parte. Il dop­pio rispetto alle 42.000 recen­site in un primo momento. Intanto l’Unrwa (l’agenzia dell’Onu per i rifu­giati pale­sti­nesi) ha fatto sapere che per man­canza di fondi rischia di non poter assi­stere Gaza. Ci vogliono 720 milioni di dol­lari, men­tre finora le somme arri­vate si fer­mano a 100 milioni. «Se la situa­zione non cam­bierà urgen­te­mente – ha avver­tito il suo diret­tore a Gaza, Robert Tur­ner — fini­remo i fondi a gen­naio e que­sto signi­fica che non saremo in grado di for­nire sus­sidi a molti ne’ inter­ve­nire per le riparazioni».

Come molti si atten­de­vano le pro­messe fatte dai Paesi dona­tori due mesi fa al Cairo si sono rive­late, almeno sino a que­sto momento, sol­tanto dei pezzi di carta. I pale­sti­nesi denun­ciano che solo il 2 per cento del 5,4 miliardi dol­lari di aiuti garan­titi per la rico­stru­zione di Gaza è stato tra­sfe­rito e che nes­suno degli Stati arabi ha ver­sato le quote annun­ciate alla con­fe­renza in Egitto. «I paesi arabi non hanno pagato nulla fino ad oggi», ha spie­gato il mini­stro pale­sti­nese per l’edilizia Mufid al-Hasayna, «gli euro­pei hanno dato ben pochi milioni, qual­cosa in più gli sve­desi». Ad otto­bre il Qatar si era impe­gnato a ver­sare nelle casse del governo pale­sti­nese 1 miliardo di dol­lari, l’Arabia Sau­dita 500 milioni, gli Stati Uniti e Unione euro­pea insieme 780 milioni in varie forme di aiuto, Tur­chia e gli Emi­rati ave­vano pro­messo con 200 milioni. Non si è visto nulla. I Paesi occi­den­tali e i “fra­telli” arabi e isla­mici con­ti­nuano ad ingan­nare il popolo palestinese.



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