Il provvedimento, composto da 17 articoli, è molto atteso e va al cuore della strategia di lotta all’evasione del governo, ispirata a «bastone e carota». Viene risolto il clima di incertezza sul tema cruciale dell’abuso di diritto in materia fiscale: la definizione adottata è di operazioni che «prive di sostanza economica» realizzino «vantaggi fiscali indebiti ». La norma chiarisce che quando l’operazione che procura vantaggi fiscali (ad esempio una fusione o uno scorporo societario) viene fatta per motivazioni organizzative l’impresa non deve temere di essere accusata di aver abusato delle norme fiscali. Accadeva infatti che l’Agenzia delle entrate, in mancanza di norme precise, considerasse «abuso » ogni operazione dalla quale non scaturissero profitti economici evidenti. Spesso tuttavia, come riconosce la norma in procinto di essere varata dal Consiglio dei ministri, l’operazione che procurava vantaggi fiscali non procurava profitti ma aveva lo stesso una finalità economica, nel senso di finalità organizzativa o di ristrutturazione.
Comunque per evitare equivoci le imprese potranno avvalersi del «tutoraggio», operazione che l’Agenzia delle entrate lancerà in via generale per tutte le grandi aziende: già dai prossimi mesi potrebbero essere alcune decine le società che richiederanno la presenza di un «revisore fiscale». Del resto la guardia alta del Fisco verso le operazioni dei grandi gruppi è stata oggetto di un intervento della direttrice dell’Agenzia delle entrate Rossella Orlandi, ieri all’Aquila, per un convegno con Raffaele Cantone e Francesco Greco. La Orlandi ha osservato che il clima internazionale sta cambiando e si rende meno favorevole alle pratiche di concorrenza fiscale sleale. Ciò. ha detto, sta già portando i primi effetti e ci sono «vari segnali » di ritorno in Italia delle imprese. «Dopo il rientro del Gruppo Prada ce ne sono altri che stanno valutando di ritornare», ha detto la Orlandi rispondendo ad una domanda sul trasferimento della direzione Fiat in Gran Bretagna e della sede legale in Olanda grazie ad un trattato tra i due paesi che permette il pagamento delle tasse con una aliquota britannica sulle società del 20 per cento dal 2015. «Certo spiace ma la Fiat ha spiegato le ragioni e paga le tasse sui suoi stabilimenti italiani in Italia. Mi piacerebbe anche segnare che serve orgoglio di appartenenza. In Germania ci sono le aliquote come quelle italiane eppure non credo che nessuno abbia mai immaginato che la Mercedes possa andare via dalla Germania».