La dignità delle partite Iva, non trattiamole più come fossero un’eccezione
by redazione | 28 Dicembre 2014 10:25
L’attenzione che si è concentrata sul mondo delle partite Iva negli ultimi giorni non va dispersa. Anzi va utilizzata per ragionare sulle cose da fare per dare maggiore riconoscimento e tutela a queste figure professionali. Il primo nodo riguarda le scelte in materia di previdenza. È chiaro che con il progressivo passaggio della contribuzione al 33% l’adesione alla gestione separata Inps diventa insostenibile. E infatti si parla insistentemente di trasmigrazione ovvero di trovare gli escamotage per fuggire verso altre forme di «primo welfare». Si è parlato di favorire la creazione di imprese artigiane o commerciali al solo fine di poter aderire a quelle casse previdenziali. Si è parlato della costituzione di Società ad accomandita semplice. Insomma le idee ci sono e andrebbero vagliate per capire se quella della trasmigrazione è una scelta sensata oppure se il rimedio è peggio della malattia.
Una novità importante arriva dalla nomina del professor Tito Boeri alla testa dell’Inps: il professore della Bocconi si è sempre battuto per l’introduzione della busta arancione (una comunicazione nella quale l’Inps mette a conoscenza dei suoi iscritti della previsione sulla loro pensione futura) e sarà quindi interessante vedere come si muoverà sul tema della gestione separata. È da sottolineare però come anche coloro che si sono caratterizzati come i «riformisti della normazione del lavoro dipendente» abbiano però sempre faticato a interessarsi di lavoro autonomo, quasi continuassero a considerarlo ancora un mondo minore. Ma l’attenzione al mondo delle partite Iva non deve riguardare solo l’aspetto normativo e fiscale, sarebbe auspicabile una riflessione anche sugli elementi economici. La vulgata sostiene che l’aumento del lavoro autonomo è una patologia del sistema che scarica fuori del mercato del lavoro regolare le esigenze di flessibilità. Ne consegue che bisogna obbligare i grandi operatori a eliminare quest’anomalia ed è tutto risolto. Ma è davvero così? O in realtà il lavoro autonomo si sta imponendo in molte professioni che prima erano quasi esclusivamente dipendenti (a cominciare dai giornalisti) proprio perché le organizzazioni non riescono a tenere insieme costi, innovazione e creazione del valore? Io credo che sia così e che allora sia necessario ragionare di nuovi format del lavoro capaci di massimizzare competenze, la formazione, la crescita dimensionale, l’internazionalizzazione. I coworking sono sicuramente un’esperienza utilissima ai fini di questa riflessione.
Un’esperienza che ci porta diretta a ragionare di autoimpiego. Ogni mese si aprono in Italia tra le 45 e le 50 mila partite Iva. Un terzo abbondante di esse si dirige verso il commercio e la ristorazione e immediatamente soffre di un deficit di accompagnamento (da qui le frenetiche rotazioni nelle insegne dei negozi) ma una quota significativa si rivolge verso il terziario più qualificato. Anche in questo caso tutto avviene nel vuoto pneumatico, nonostante questi giovani si responsabilizzino e si tolgano dall’ingorgo della ricerca del posto fisso, nessuno si prende cura di loro.