Due cortei attraversano Genova. Landini: «Come negli anni 60»

by redazione | 13 Dicembre 2014 10:34

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Coper­toni di auto in fiamme e tran­senne a bloc­care lun­go­mare Canepa nei pressi del varco por­tuale di ponte Etio­pia a Sam­pier­da­rena. E’ comin­ciata così all’alba, con un’azione sim­bo­lica dei lavo­ra­tori del porto, la gior­nata dello scio­pero gene­rale a Genova. Ad attra­ver­sare la città due grandi cor­tei misti di Cgil e Uil, uno par­tito dal cen­tro e un secondo, il più impo­nente, dal ponente cit­ta­dino. Da lì, insieme ai metal­mec­ca­nici e ai lavo­ra­tori di ciò che rimane dell’industria geno­vese, è par­tito il lea­der della Fiom Mau­ri­zio Lan­dini, che ha scelto per sfi­lare una città anche quest’anno attra­ver­sata da ver­tenze impor­tanti, dal futuro dell’Ilva a quelle delle aziende del gruppo Fin­mec­ca­nica. Lan­dini è accolto dall’applauso calo­roso dei suoi ’ragazzi’, tutti rigo­ro­sa­mente con la felpa nera della Fiom, che per lui rad­dop­piano, se ce ne fosse biso­gno i cori con­tro Renzi e il suo governo e ricor­dano «C’è un solo sin­da­cato, la Fiom». «Que­sto scio­pero gene­rale dimo­stra una cosa pre­cisa. Que­sto governo non ha il con­senso del paese sulle poli­ti­che del lavoro. Biso­gna creare posti di lavoro non togliere diritti» ha detto Lan­dini poco prima di pren­dere la testa del cor­teo. E sul futuro del’Ilva che a Genova dà lavoro a oltre 1400 per­sone ha riba­dito la neces­sità di un inter­vento sta­tale pre­ci­sando però che «l’Ilva non deve essere una nuova Ali­ta­lia, non dob­biamo essere noi ad accol­larci i debiti . La side­rur­gia e Ilva sono stra­te­gici per il Paese. Un inter­vento diretto dello Stato è neces­sa­rio ma con la sicu­rezza di inve­sti­menti e un piano serio di rilan­cio. Non deve essere un regalo. Se non arri­vano rispo­ste da lunedì pen­se­remo alle ini­zia­tive da met­tere in campo».

A metà strada il cor­teo è stato rag­giunto da quello degli stu­denti che Lan­dini ha salu­tato con pac­che sulle spalle. Poi la mar­cia è pro­se­guita fino in piazza De Fer­rari, tra i canti della Fiom, i fumo­geni e qual­che razzo di segna­la­zione. A De Fer­rari la piazza è piena come non la si vedeva da tempo notano in molti e lo stesso Lan­dini ha voluto pre­miarla ricor­dando le lotte del giu­gno 1960. Ma lungo inter­vento dal palco è però tutto incen­trato sulla lotta pre­sente e futura, una lotta che è insieme per il lavoro e per la lega­lità. Lan­dini com­menta dura­mente i recenti scan­dali a par­tire dall’inchiesta «Mafia capi­tale»: «Quando è la magi­stra­tura a dover inter­ve­nire per denun­ciare il livello di cor­ru­zione che si sta esten­dendo nel Paese que­sto chiama in causa tutti noi per­ché che il rischio con­creto che nelle orga­niz­za­zioni poli­ti­che in quelle sociali e nelle isti­tu­zioni non ci siano più gli anti­corpi per pre­ve­nire e impe­dire i feno­meni cor­ret­tivi» ha detto. «Oggi c’è un pro­blema di rico­stru­zione di un’etica e di una mora­lità pub­blica, Biso­gna rimet­tere al cen­tro l’onestà e ognuno deve com­bat­tere i diso­ne­sti ovun­que si trovino».

Ha chia­mato in causa diret­ta­mente Lega­coop e Con­fin­du­stria («devono cac­ciare quelli che pren­dono tan­genti»), ha messo più volte l’accento nel suo discorso sulla neces­sità di rico­struire «la rete di una cul­tura nel Paese che ripri­stini la lega­lità e com­batta gli affa­ri­smi». E poi ha avver­tito Renzi: «Il governo lo deve sapere, noi non ci fer­miamo. Renzi può met­tere tutte le fidu­cie che vuole anche una al giorno ma la lotta con­ti­nuerà». «Quando la logica è che il lavoro lo puoi scam­biare con i soldi — ha aggiunto rife­ren­dosi alla modi­fica dell’articolo 18 — allora il lavoro diventa pura­mente una merce. Ma se a uno che è abi­tuato a pen­sare che tutto si può com­prare e ven­dere, qual­cuno dice ’a me non mi com­pri per­ché non sono in ven­dita’ allora il gioco cam­bia. Se Renzi vuole unire il Paese tolga subito dal tavolo l’articolo 18».

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