Communia. Dove tutto è di tutti

by redazione | 14 Dicembre 2014 19:28

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Le sette di sera si attar­dano nell’androne prin­ci­pale che pul­lula di stu­denti, inse­gnanti pre­cari e ricer­ca­tori. «Dob­biamo rove­sciare le nar­ra­zioni tos­si­che del governo, ribal­tarne il senso, pro­po­nendo un’alternativa reale che parta dai nostri biso­gni, dalle nostre neces­sità, met­tendo in discus­sione la logica dei diritti a ribasso, l’ineluttabilità della pre­ca­rietà, l’uso pri­va­ti­stico di scuola e uni­ver­sità», incalza Danilo, pre­ca­rio e docente. E poi Fede­rica, stu­den­tessa di Let­tere: «Abbiamo oggi la neces­sità di ripen­sare gli stru­menti e le pra­ti­che del nostro agire poli­tico quo­ti­diano, di ragio­nare sulla rico­sti­tu­zione di un ter­reno in cui sia pos­si­bile l’attivazione di per­corsi di autor­ga­niz­za­zione nei nostri ate­nei e nelle nostre scuole, den­tro e fuori i luo­ghi del lavoro».

Lo stan­zone riluce del chia­rore di un pome­rig­gio che len­ta­mente spira. Pro­ba­bil­mente una vec­chia rimessa, con il pavi­mento a mat­ton­cini rossi scre­ziati e il tufo delle pareti. All’esterno tre capan­noni acca­ta­stati. Un can­cello rosso all’entrata, l’insegna raf­faz­zo­nata recita « Communia ». Il volto di Tho­mas Mun­tzer su una sara­ci­ne­sca: bom­bo­letta spray su ferro arrug­gi­nito, con un tocco di ele­ganza queer, lab­bra livide e arros­sate.
«Abbiamo lavo­rato giorno e notte, senza tre­gua per resti­tuire al quar­tiere uno sta­bile abban­do­nato da troppo tempo». La ver­nice fre­sca, righe viola su colate bian­che. Tom traf­fica con alcune travi di legno. «Que­sto a breve sarà il bar», spiega indi­cando lo stan­zone a sini­stra, quello subito dopo il viot­tolo. «Ten­tiamo di riqua­li­fi­care uno spa­zio, strap­pan­dolo alla spe­cu­la­zione edi­li­zia», bor­botta, infor­cando gli occhiali sudici di polvere.

«Vogliamo creare uno spa­zio di mutuo soc­corso, un luogo in cui con­di­vi­dere espe­rienze, creare legami di soli­da­rietà. Il nostro intento — con­ti­nua — è inte­la­iare una rete tra con­flitti che, oltre a costruire sac­che di resi­stenza, pro­pone una rot­tura con il sistema attuale. La parola d’ordine: spe­ri­men­tare». Guarda poi i divani all’angolo. «Gen­tile con­ces­sione della signora del palazzo accanto». Pan­che e sedie, arma­dietti rime­diati, tavoli e men­sole, «come se il quar­tiere ci avesse dato il benvenuto».

Lo spa­zio di mutuo soc­corso Communia nasce a Roma il 7 aprile 2013. «All’inizio abbiamo por­tato le nostre idee a via dei Peli­gni, denun­ciando il peri­colo dell’amianto che rico­pre ancora il tetto del capan­none alla fine della via — rac­conta Gio­vanna, pre­ca­ria della scuola -, abbiamo svi­lup­pato poi il pro­getto occu­pando per quat­tro mesi le ex fon­de­rie Bastia­nelli in via dei Sabelli, patri­mo­nio sto­rico e archi­tet­to­nico della città. Il 16 ago­sto però — pro­se­gue Gio­vanna abboz­zando un ghi­gno, men­tre Tom cin­ci­schia con dei chiodi — in una Roma deserta, la poli­zia ci sgom­bera. La Sabelli Tra­ding prende pos­sesso dei locali e dopo nove mesi demo­li­sce tutto». Il 7 set­tem­bre 2013 «cen­ti­naia di per­sone, una fiu­mana di gente in cor­teo, giunge all’interno delle ex offi­cine Piag­gio» in via Scalo di San Lorenzo 33».

Tom­maso spiega che «lo spa­zio si pre­sta all’immaginazione: vive attra­verso lo sport e la scuola popo­lare, con corsi d’inglese, tede­sco e di lin­gua ita­liana per stra­nieri, gli spor­telli legali e psi­co­lo­gici, i gruppi di acqui­sto soli­dale a sfrut­ta­mento zero. Abbiamo ospi­tato un festi­val di let­te­ra­tura — aggiunge -, ini­zia­tive cul­tu­rali e spet­ta­coli teatrali».

Teli rossi pio­vono dal sof­fitto di una stanza — «l’aula stu­dio auto­ge­stita», spiega Tom­maso — su ban­chi, ban­coni e seg­giole di legno; libri che pen­zo­lano dagli scaf­fali, eti­chet­tati, sche­dati, illu­mi­nati da luci per­la­cee che bal­lon­zo­lano per le ner­va­ture del tetto; men­sole e cas­setti, foto­co­pie spil­late, le dispense di Filo­lo­gia romanza, di Sto­ria medie­vale e di Diritto pub­blico, un voca­bo­la­rio su una men­sola, penne e pen­na­relli. Uno stri­scione, tes­suto nero e chiazze verdi: «Scuola e Uni­ver­sità fuori Mer­cato, la vostra meri­to­cra­zia è auste­rità e pre­ca­riato». Chi rimu­gina sulla tastiera del com­pu­ter, chi legge e chi sma­netta un foglio di carta con equa­zioni e for­mule, la matita spun­tata, cal­coli che non tornano.

«Tro­vare una biblio­teca aperta tutto il giorno è un’impresa impos­si­bile, spe­cial­mente alla Sapienza: orari ridi­coli, pochi posti, uno sopra all’altro, cen­tel­li­nando i secondi, con­tando i cen­ti­me­tri, reclusi in gab­bia», si lamenta una stu­den­tessa che ha sco­perto l’aula pas­seg­giando per i cor­ri­doi della facoltà di Fisica, leg­gendo un mani­fe­sto che ripor­tava «Share­wood è un pro­getto in con­ti­nua costru­zione, file-sharing, biblio­teca, copi­ste­ria popo­lare, aperta tutto il giorno, tutti i giorni, tutte le settimane».

«Que­sto è uno spa­zio dove incon­trarsi, con­fron­tarsi — pro­se­gue — in un’epoca in cui essere stu­den­tessa e stu­dente signi­fica vivere una vita pre­ca­ria, fram­men­tata, divisa tra mille lavori per pagare le tasse, l’affitto e mille altre spese». «Vogliamo ria­prire le nostre aule, le nostre biblio­te­che, gli spazi abban­do­nati, equi­li­brare i nostri tempi di stu­dio, discu­tere e imma­gi­nare insieme un’altra uni­ver­sità» sus­surra, per non distur­bare, Giu­lia, stu­den­tessa di Filo­so­fia. Un altro, grat­tan­dosi la testa, aggiunge: «Qui pos­siamo stu­diare, impar­tire ripe­ti­zioni, acqui­stare, ven­dere e scam­biare libri, con­di­vi­dere dispense e docu­menti, senza ren­dere conto a nes­suno, senza pagare pegno alle grandi case edi­trici o alle penne stri­min­zite dei baroni universitari».

La caf­fet­tiera stride sul for­nel­letto a gas. Sul tavolo un gior­nale spie­gaz­zato sul quale si legge: «La legge di Sta­bi­lità appena varata dal governo Renzi pro­muove una serie di misure sul fronte dell’istruzione. I tagli a scuola e uni­ver­sità, con­si­de­rando tutte le voci, arri­vano a quota 615 milioni di euro a fronte di oltre un miliardo di stan­zia­menti sul 2015». E una decina di righe più in là: «Sul Fondo di finan­zia­mento ordi­na­rio delle uni­ver­sità ita­liane ven­gono messi 150 milioni e si sta­bi­liz­zano anche per il pros­simo anno risorse finora oscil­lanti. Gli stu­denti orga­niz­zati spie­gano, però, che con i tagli alle Regioni sal­tano 150 milioni che le Regioni avreb­bero desti­nato alle borse di stu­dio uni­ver­si­ta­rie per gli aventi diritto».

L’ultima stanza a destra: un pic­colo sipa­rio addob­bato e una pedana in legno. Al cen­tro della pla­tea, file di sedie, una die­tro l’altra, una scala su cui è seduta una ragazza che legge ad alta voce un copione: pan­ta­loni neri, giacca e col­letto della cami­cia sbot­to­nati. Strim­pel­lata elet­trica di getto, fra­stuono assor­dante: micro­foni, casse e mixer fun­zio­nano. Le prove per uno spet­ta­colo tea­trale. Tutte donne nella stanza. Una di loro mostra un volan­tino: «Siamo stu­den­tesse, pre­ca­rie, donne, lesbi­che, lavo­ra­trici, disoc­cu­pate. Siamo un col­let­tivo. Degen­der Communia è il nome che abbiamo scelto per­ché pen­siamo che il genere sia una costru­zione sociale e non un dato deter­mi­nato dal sesso bio­lo­gico. Ci riu­niamo sepa­ra­ta­mente — pro­se­gue — per­ché cre­diamo che sia fon­da­men­tale per la nostra auto­de­ter­mi­na­zione, ma non rinun­ciamo alla sfida dei luo­ghi misti, che attra­ver­siamo, con­ta­mi­niamo, stra­vol­giamo». Fatima, ultimo anno della trien­nale in Antro­po­lo­gia: «Adesso stiamo ria­dat­tando alcuni testi tea­trali rivol­tan­doli com­ple­ta­mente: inter­pre­tiamo la realtà sociale con chiavi di let­tura che met­tono al cen­tro la que­stione di genere, le sue riven­di­ca­zioni, le com­plesse rela­zioni che esi­stono al suo interno». Bat­tute, scambi repen­tini, inter­mezzi musi­cali che accom­pa­gnano le fisio­no­mie acci­gliate, i com­pleti neri, com­ple­ta­mente ano­nimi, mesco­lano sulla scena arte e poli­tica. «Io non ho la pos­si­bi­lità di pre­fi­gu­rare un futuro in que­sto mondo. Con­qui­sto i miei diritti e affermo me stessa lot­tando. Dal momento che il mio corpo non è nient’altro che pura fisi­cità, prono al tiranno della pro­du­zione e del con­sumo alie­nante, dato che il mer­cato gesti­sce i miei tempi, che lo spread scan­di­sce le mie gior­nate con alti e bassi, non ho nulla da per­dere nell’oppormi radi­cal­mente a tutto que­sto». Le prove con­ti­nuano fino a tarda notte.

La sera è piombo fuso sulle strade del quar­tiere. Alla spic­cio­lata qual­cuno esce, salu­tando calo­ro­sa­mente, altri riman­gono, ras­set­tando l’androne con scopa e paletta. Le luci si spengono.

Clau­dia, capelli ros­sicci, zaino a tra­colla e un libro tra le brac­cia, stu­den­tessa uni­ver­si­ta­ria, fissa la sara­ci­ne­sca con il fac­cione imbel­let­tato di Tho­mas Mun­tzer. La domanda è lecita. Per­ché pro­prio lui? «Tho­mas Mun­tzer fu un ere­tico — risponde senza vol­tarsi -, un pastore pro­te­stante, un teo­logo inviso ai potenti. Soprat­tutto però fu un rivo­lu­zio­na­rio. A capo dei ribelli nella guerra dei con­ta­dini, aveva com­preso la neces­sità dell’insurrezione con­tro la nobiltà. In migliaia mori­rono in bat­ta­glia, con­ta­dini tru­ci­dati dai lan­zi­che­nec­chi, città sac­cheg­giate dalla furia dei prin­cipi. Così venne rista­bi­lito l’ordine nella Ger­ma­nia del 1500. Alla fine Tho­mas Mun­tzer venne deca­pi­tato. Per secoli però nes­suno dimen­ticò il suo grido di bat­ta­glia: omnia sunt com­mu­nia. Tutto è di tutti».

Communia nasce il 7 aprile 2013 in via dei Peli­gni, alle porte del quar­tiere capi­to­lino di San Lorenzo. Dopo il recu­pero e la riqua­li­fi­ca­zione del vec­chio depo­sito, ven­gono occu­pate le ex fon­de­rie Bastia­nelli in via dei Sabelli. Lo sgom­bero arriva il 16 ago­sto. Il 7 set­tem­bre le ex offi­cine Piag­gio in via Scalo di San Lorenzo 33 diven­tano la nuova casa. L’obiettivo è creare uno spa­zio in cui poter rea­liz­zare pro­getti di mutuo soc­corso tra stu­denti, pre­cari di ogni genere, lavo­ra­tori, abi­tanti del quar­tiere, uomini e donne, rico­struire una rete di rap­porti di soli­da­rietà e con­fronto. Communia è ani­mata dall’aula stu­dio Share­wood, da uno spor­tello legale e psi­co­lo­gico, con mol­te­plici atti­vità, dai gruppi di acqui­sto popo­lare a sfrut­ta­mento zero ai corsi di tea­tro, di lin­gua, di ita­liano per stra­nieri, dalla scuola allo sport popolare.

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