Con la Cia, gli agenti di Sua Maestà

by redazione | 13 Dicembre 2014 12:22

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Men­tre John Bren­nan, all’epoca numero due e oggi a capo della Cia, cerca di difen­dere i metodi uti­liz­zati dopo l’11 set­tem­bre, lo scan­dalo rela­tivo al report pub­bli­cato dai Demo­cra­tici del Senato Usa, sulle tor­ture uti­liz­zate dai ser­vizi ame­ri­cani, rischia di allar­garsi, com­pren­si­bil­mente. Del resto non erano certo solo gli Stati uniti ad essere impe­gnati nelle guerre uma­ni­ta­rie. Ad essere sotto pres­sione da alcuni giorni è anche il governo bri­tan­nico, per il coin­vol­gi­mento nel dos­sier delle tor­ture com­piute dalla Cia nella «guerra al ter­ro­ri­smo». La que­stione è la seguente: può essere che – a seguito di incon­tri tra le parti – siano state omesse le par­te­ci­pa­zioni di agenti di Sua Mae­stà a tor­ture effet­tuate da agenti della Cia? «Qual­che agente bri­tan­nico potrebbe essere stato a cono­scenza di tor­ture da parte di fun­zio­nari della Cia e potreb­bero per­fino essere stati pre­senti durante alcune pra­ti­che come il water­boar­ding, ma un’inchiesta pub­blica com­pleta sarebbe una per­dita di tempo», ha sen­ten­ziato l’ammiraglio Lord West, ex capo della sicu­rezza durante il governo labu­ri­sta coin­volto even­tual­mente nelle torture.

 Eppure non tutti hanno le stesse sicu­rezze. Secondo quanto emerso da alcuni media bri­tan­nici, Bbc e Guar­dian ad esem­pio, Dow­ning Street — per la prima volta — avrebbe ammesso di essersi più volte con­fron­tato con le auto­rità sta­tu­ni­tensi, che avreb­bero garan­tito a Lon­dra, prima dell’uscita pub­blica del docu­mento, di can­cel­lare rife­ri­menti riguar­danti il Regno unito sulla base di «ragioni di sicu­rezza nazio­nale». «Ma que­sta richie­sta, ha spie­gato un por­ta­voce del governo, non mirava a coprire l’eventuale coin­vol­gi­mento degli agenti bri­tan­nici nelle tor­ture». Secondo il Guar­dian, dal 2009 i fun­zio­nari del governo di Lon­dra hanno avuto 24 incon­tri con i mem­bri della com­mis­sione del Senato Usa che lavo­ra­vano al dos­sier. Fra i par­te­ci­panti, c’erano il mini­stro degli Interni, The­resa May, il labu­ri­sta Lord West (guarda il caso) e gli amba­scia­tori bri­tan­nici a Washington.

E ieri il governo con­ser­va­tore di David Came­ron ha ammesso che l’intelligence ha avuto con­tatti con le con­tro­parti ame­ri­cane in merito al rap­porto pub­bli­cato dal Senato di Washing­ton, ma un por­ta­voce del pre­mier ha pre­ci­sato che «non è stata richie­sta nes­suna revi­sione del testo tale da rimuo­vere ogni accenno a pre­sunti coin­vol­gi­menti della Gran Bre­ta­gna in torture».

Even­tuali can­cel­la­zioni «avreb­bero potuto essere per motivi di sicu­rezza nazio­nale, come acca­drebbe per qual­siasi altro rap­porto». Dichia­ra­zioni più che ambi­gue che difatti non con­vin­cono nes­suno: non a caso dalle parti di Lon­dra comin­cia a ser­peg­giare insi­stente la richie­sta circa l’apertura di un’inchiesta per veri­fi­care even­tuali respon­sa­bi­lità anche da parte di agenti dell’intelligence bri­tan­nica, per appu­rare se ci sono state «vere e pro­prie tor­ture eser­ci­tate dalla Cia negli inter­ro­ga­tori di pre­sunti terroristi».

Il vice primo mini­stro Nick Clegg, lea­der dei par­tito libe­ral­de­mo­cra­tico, si è detto favo­re­vole ad affi­dare un’inchiesta ad un giu­dice indi­pen­dente se la com­mis­sione intel­li­gence del par­la­mento, che sta già esa­mi­nando il caso, non darà rispo­ste suf­fi­cienti. Come negli Stati uniti per George Bush, così in Gran Bre­ta­gna per per Tony Blair la posi­zione è piut­to­sto deli­cata. E lo è anche per il par­tito labu­ri­sta che era al governo con Blair all’epoca della guerra al ter­rore pro­cla­mata da George W. Bush.

Il lea­der labu­ri­sta Ed Mili­band ha difeso il fra­tello David, allora mini­stro degli esteri, dicendo che non avrebbe mai per­messo ai bri­tan­nici «di farsi coin­vol­gere in simili atti­vità». Ma se Mili­band non si è spinto fino a chie­dere un’inchiesta, lo ha fatto il depu­tato labu­ri­sta Paul Flynn. «È essen­ziale che vi sia una piena inchie­sta affi­data ad un giu­dice indi­pen­dente», ha detto, aggiun­gendo che «vi sono serie domande da porre a Tony Blair e David Miliband».

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