ROMA Le menti del «Mondo di Mezzo» allontanate da Roma. Dopo Salvatore Buzzi, finito a Badu ‘e Carros (Nuoro), anche Massimo Carminati lascia Rebibbia, trasferito ieri nel carcere di massima sicurezza di Tolmezzo (Udine) che ospita i detenuti di mafia. Misura disposta dal Dap, col nulla osta della procura, per «incompatibilità ambientale». Assieme a Carminati, trasferiti da Rebibbia gran parte degli arrestati nell’inchiesta «Mafia Capitale». Il timore è che la fitta rete di relazioni fosse capace di filtrare anche attraverso le sbarre delle celle. «Carminati era già in isolamento a Rebibbia e nel Lazio ci sono altri sei penitenziari — protesta il difensore Giosuè Naso —. L’unica motivazione del trasferimento è rendere più gravoso, anche economicamente, il diritto a difendersi».
«Pagnotta per tutti»
Quale fosse l’andazzo lo conferma un’intercettazione depositata al Riesame: «Tutto il consiglio comunale prende i soldi», spiega Buzzi a un imprenditore in cerca di agganci. Un modo di muoversi così consueto da poter essere addirittura racchiuso in uno schema illustrato ancora da Buzzi ad un altro imprenditore: «… lo schema che mi ha detto Cancelli (Franco, della coop Edera, legata alla 29 Giugno)». «Lo schema su cosa?», chiede l’interlocutore. E Buzzi: «Sulla sicurezza Ambiente… uno voi… uno noi… uno Cns… uno la destra. Se Massimo se riesce a piglia’ quello della destra noi pigliamo… Patanè (Eugenio, consigliere pd alla Regione, ndr )». E la «tariffa» riconosciuta a Franco Panzironi, uomo forte dell’Ama e dell’amministrazione Alemanno, è il parametro per distribuire le altre tangenti: «Gli ho detto (a Patanè, ndr ) “Noi a Panzironi che comandava gli avemo dato il due virgola cinque per cento, 120 mila euro su 5 milioni”, lui ne vorrebbe subito 60 e gliene toccherebbero 50». Alla fine Buzzi sembra decidersi: «Io martedì incontro Patanè, una parte dei soldi comunque gliela darei… sui 20… gli famo capì a Patanè “guarda noi venimo solo da te però…”». Il giro di pagamenti è vorticoso. Buzzi fa il punto con il collaboratore Emilio Gammuto: «Turella… (dell’ufficio giardini, ndr )..gli davamo la pagnotta pure a lui… gli devo dà ancora… penso 10 mila euro, fammi vedè… (legge qualcosa, ndr )… 15 mila gli devo dà… c’ho i debiti…». «È un libro nero, quello?», chiede Gammuto.
L’altro Nar
Da un carcere all’altro, in una intercettazione compare anche Silvia Pesante, già direttrice dell’istituto di pena di Frosinone e oggi in quello di Sulmona. Ne parlano al bar l’imprenditore Mario Zurlo e il braccio destro di Massimo Carminati, Riccardo Brugia, nel febbraio 2013. Il nome della Pesante non viene fatto ma il riferimento è esplicito: «la bionda direttrice del carcere di Frosinone». Zurlo sostiene di averla incontrata in compagnia di Luigi Ciavardini, l’ex Nar (come Massimo Carminati) condannato a 30 anni per la strage di Bologna e in semilibertà dal 2009, che — secondo l’imprenditore — «con la sua cooperativa sociale sta facendo tutti i lavori intorno al carcere, gli pulisce l’erba… c’ha tutto il verde esterno». «Mettermi in mezzo a inchiesta è una porcheria. Non sono Buzzi», replica Ciavardini, che con l’associazione Gruppo Idee collaborò con il Campidoglio sotto la giunta Alemanno. «Pulizia del Gianicolo a titolo gratuito», precisa. Di «enorme falsità» e «mascalzonata» parla la Pesante.
Fulvio Fiano