Berezovsky e i 5 amici morti Il mistero che porta in Russia
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LONDRA Agli amici aveva confidato: «Se mi accadrà qualcosa, sappiate che non sarà mai stato un incidente». Pochi giorni dopo quel «testamento» improvviso, l’avvocato Stephen Curtis si schiantava col suo nuovo elicottero che era partito dalla zona londinese attorno a Battersea e stava volando verso la lussuosa residenza in un castello del Dorset. Dieci anni fa, nel 2004.
E tutto parte da lì, dall’elicottero che precipita. Una catena di morti sospette, strane, di corpi scaraventati giù dalle finestre, di suicidi e di misteriose scomparse. Un gruppo di uomini in affari e un filo unico che li collega: soldi, tanti soldi, e la Russia. Professionisti, tycoon impegnati in progetti edilizi miliardari nella capitale britannica, cinquantenni divenuti ricchissimi, habitué dei salotti mondani: sono tutti finiti in malomodo.
Il primo, Stephen Curtis, nel 2004. L’ultimo domenica scorsa, Scot Young che alle cinque del pomeriggio è saltato dal suo appartamento a Marylebone, centro londinese, per infilzarsi nelle transenne del giardino. E in mezzo: uno stritolato sotto un camion in Bond Street, uno dalla metropolitana, uno caduto dal tetto di un centro commerciale, uno colpito da infarto.
Sono sei. Sei «casi» aperti di «Russia connection». Più uno scomparso (forse fuggito per paura e per salvarsi dalla vendetta).
Un petalo alla volta e il sodalizio si è liquefatto. A cominciare dall’avvocato Stephen Curtis. Il numero uno della lista. Stimato professionista dai mille contatti che contano: era stato lui a introdurre Robert Curtis, Paul Castle, Johnny Elichaoff, Boris Berezovsky (prima amico poi nemico di Putin) e Scot Young.
L’orrore nei dettagli: l’elicottero per Stephen Curtis. La metropolitana nel dicembre 2012 per l’altro Curtis, Robert, che dal nulla si era ritrovato a capo di quindici società, con la Rolls Royce, l’autista e la modella Caprice come fidanzata. Il camion per l’imprenditore Paul Castle che giocava a polo anche col principe e futuro re Carlo. Il volo, il mese scorso, dal centro commerciale Whiteleys per Johnny Elichaoff. L’infarto nel bagno della villa di campagna per Berezovsky, con la figlia che accusa: «L’hanno ammazzato». Le transenne di ferro per Scot Young, che dicono gli amici, si ritrovò mesi addietro a gambe all’aria fuori da una finestra dell’hotel di lusso Dorchester con i sicari che lo tenevano alle caviglie e gli urlavano: se parli la prossima volta cadi sull’asfalto. Suicidi?
Sono in tanti a chiedere a Scotland Yard di leggere bene la storia di questi sei morti. E di metterne assieme i tasselli. Soci nel business, soci in un vecchio progetto edilizio, il «Moscow Project» poi fallito, soci nel gestire capitali russi, soci negli investimenti. E naturalmente amici: i sei frequentavano gli stessi salotti, si divertivano, pranzavano assieme nei migliori ristoranti londinesi e il Cipriani era uno dei preferiti, prendevano in carico soldi. «È la mafia russa che li ha ammazzati o costretti a togliersi la vita», ripetono gli amici.
Forse avevano visto e toccato ciò che era vietato, soldi sporchi che a Londra circolano in grande quantità per essere dirottati verso gli affari legali. Uno schermo pulito. E un indizio lo aveva offerto George Constantine che era il «tesoriere» di Scot Young, piombato sulla recinzione sotto le sue finestre di casa. Scot Young stava divorziando dalla moglie e rifiutava di svelare ai giudici il contenuto delle sue ricchezze. Fu chiamato a testimoniare, nel 2011, proprio George Constantine: «In effetti vidi transitare capitali sospetti su un conto a me intestato». Dopo la deposizione sparì. Nuovo Paese. Nuovo nome. Per tenersi lontano dalla mafia russa.
Il primo, Stephen Curtis, nel 2004. L’ultimo domenica scorsa, Scot Young che alle cinque del pomeriggio è saltato dal suo appartamento a Marylebone, centro londinese, per infilzarsi nelle transenne del giardino. E in mezzo: uno stritolato sotto un camion in Bond Street, uno dalla metropolitana, uno caduto dal tetto di un centro commerciale, uno colpito da infarto.
Sono sei. Sei «casi» aperti di «Russia connection». Più uno scomparso (forse fuggito per paura e per salvarsi dalla vendetta).
Un petalo alla volta e il sodalizio si è liquefatto. A cominciare dall’avvocato Stephen Curtis. Il numero uno della lista. Stimato professionista dai mille contatti che contano: era stato lui a introdurre Robert Curtis, Paul Castle, Johnny Elichaoff, Boris Berezovsky (prima amico poi nemico di Putin) e Scot Young.
L’orrore nei dettagli: l’elicottero per Stephen Curtis. La metropolitana nel dicembre 2012 per l’altro Curtis, Robert, che dal nulla si era ritrovato a capo di quindici società, con la Rolls Royce, l’autista e la modella Caprice come fidanzata. Il camion per l’imprenditore Paul Castle che giocava a polo anche col principe e futuro re Carlo. Il volo, il mese scorso, dal centro commerciale Whiteleys per Johnny Elichaoff. L’infarto nel bagno della villa di campagna per Berezovsky, con la figlia che accusa: «L’hanno ammazzato». Le transenne di ferro per Scot Young, che dicono gli amici, si ritrovò mesi addietro a gambe all’aria fuori da una finestra dell’hotel di lusso Dorchester con i sicari che lo tenevano alle caviglie e gli urlavano: se parli la prossima volta cadi sull’asfalto. Suicidi?
Sono in tanti a chiedere a Scotland Yard di leggere bene la storia di questi sei morti. E di metterne assieme i tasselli. Soci nel business, soci in un vecchio progetto edilizio, il «Moscow Project» poi fallito, soci nel gestire capitali russi, soci negli investimenti. E naturalmente amici: i sei frequentavano gli stessi salotti, si divertivano, pranzavano assieme nei migliori ristoranti londinesi e il Cipriani era uno dei preferiti, prendevano in carico soldi. «È la mafia russa che li ha ammazzati o costretti a togliersi la vita», ripetono gli amici.
Forse avevano visto e toccato ciò che era vietato, soldi sporchi che a Londra circolano in grande quantità per essere dirottati verso gli affari legali. Uno schermo pulito. E un indizio lo aveva offerto George Constantine che era il «tesoriere» di Scot Young, piombato sulla recinzione sotto le sue finestre di casa. Scot Young stava divorziando dalla moglie e rifiutava di svelare ai giudici il contenuto delle sue ricchezze. Fu chiamato a testimoniare, nel 2011, proprio George Constantine: «In effetti vidi transitare capitali sospetti su un conto a me intestato». Dopo la deposizione sparì. Nuovo Paese. Nuovo nome. Per tenersi lontano dalla mafia russa.
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