Le atrocità di una guerra perpetua

by redazione | 17 Dicembre 2014 9:57

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 È ovvio, è incontenibile, è doveroso, è inutile anche se appassionatamente sincero gridare tutto l’orrore per questa inaudita bestialità e tutta la stravolta pietà per le vittime di una simile inumana barbarie. È più difficile rispondere alla prima domanda di ogni politica, posta da molti famosi pamphlet , specie in una situazione abnorme come questa: che fare? Non siamo nella Terza Guerra Mondiale; questa è finita nel 1989 o nel 1991, con la vittoria dell’Occidente sul mondo sovietico e 45 milioni di morti, per nostra egoistica fortuna caduti in altre regioni della Terra. Siamo in una Quarta Guerra Mondiale, in cui, a differenza dalle precedenti, non è sempre ben chiaro chi sia contro chi. Assad è un dichiarato nemico quando esercita le sue repressioni ma è quasi un alleato quando gli si chiede l’autorizzazione a lasciar passare gli aerei che si avviano a (modesti) interventi in altre regioni del Medio Oriente. La guerra in Afghanistan sta durando due volte e mezzo la Seconda Guerra Mondiale ed evidentemente non è stata ancora vinta e non è finita, se succede quello che è successo ieri. Le guerre si possono fare o non fare, come si augura ogni persona ragionevole.Ma non si possono contemporanea mente faree non fare, provocandovittime sempre tragiche e doppiamente inutili perché non giovano a risolvere alcun problema. Le guerre vanno evitate con ogni sforzo, ma ci sono situazioni in cui, come disse Churchill dopo il vile cedimento al Nazismo a Monaco nel 1938, nella scelta tra il disonore e la guerra si sceglie il disonore senza per questo evitare poco dopo la guerra.
Oggi, ipocritamente, non si dichiara più la guerra, nemmeno quando la si fa. Ma una guerra o si vince o si perde; essa non può essere, come è oggi, un incerto e interdetto stillicidio di vite umane che non risolve nulla e non elimina la tragedia della sofferenza e della morte. Il mondo è oggi un focolaio di guerre, di guerra. Di chi, contro chi? Il progresso tecnologico permette oggi ad un pugno di disperati e ben preparati fanatici di mettere in difficoltà le grandi potenze, cosa mai avvenuta in passato. Le grandi potenze — a cominciare dalla più grande, dalla grande potenza per antonomasia, gli Stati Uniti — appaiono esitanti, impappinate. Non vogliono e forse non possono più esercitare il ruolo, un tempo brutalmente redditizio e ora ingrato, di guardiani del mondo, ma non sanno bene come rinunciarvi e neanche se proprio lo vogliono e nel frattempo si invischiano in pantani fatali.
La Quarta Guerra Mondiale è forse quella dell’Islam, o di un certo Islam contro tutti gli altri? Non lo credo, perché ritengo che il caos nel mondo sia oggi molto più complesso, ma l’incubo di tale scontro è innegabile. Lo aveva capito genialmente Giovanni Paolo II, che si oppose alla guerra contro l’Iraq non per ingenuo pacifismo né per bontà d’animo (la guerra in Jugoslavia non sembra averlo troppo turbato) né certo per simpatia verso feroci tiranni come Saddam Hussein, ma per una straordinaria visione storico-epocale, per la consapevolezza che il conflitto con il mondo islamico sarebbe stato foriero di ulteriori conflitti e squilibri sanguinosi e che la caduta di abietti regimi tirannici non avrebbe creato democrazie, ma altri totalitarismi, forse più pericolosi perché atomizzati e incontrollabili.
Una guerra la si vince o la si perde, non la si protrae in un indefinito sgocciolio di morte. Certe volte si vince dando all’avversario un buon colpo che tuttavia non lo distrugge, come la Prussia che nel 1870 batte la Francia prendendosi l’Alsazia e la Lorena ma senza mettere a terra il Paese. Altre volte la si vince solo annientando il nemico, come la Germania nazista rasa al suolo nel 1945. Con i talebani o tanti altri loro cugini ferocemente rivali ma anche solidali non sembra possibile — a parte ogni considerazione umana e morale — né l’una né l’altra soluzione. E come se la Quarta Guerra Mondiale fosse veramente l’ultima guerra ma solo perché sembra che non finirà mai. E intanto, in questa stanca e febbrile violenza perpetua, continueranno ad accadere innominabili atrocità come quella di poche ore fa. È grottesco dire, tra qualche giorno, «Buon Natale».
Claudio Magris
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