Addio al partigiano Giulio Que­sti

Addio al partigiano Giulio Que­sti

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Se sei vivo, spara. Ora che vivo non è più, Giu­lio Que­sti, par­ti­giano, scrit­tore e uno dei più ori­gi­nali tra i nostri regi­sti cre­sciuti nel dopo­guerra, più volte risco­perto e amato da diverse gene­ra­zioni, scom­parso nel sonno a 90 anni, dopo aver pub­bli­cato un’autobiografia e un bel­lis­simo libro di rac­conti di guerra per Einaudi (Uomini e coman­danti), pro­ba­bil­mente con­ti­nuerà a spa­rare lo stesso. Come spa­rava l’eroe del suo film più ado­rato dai ragazzi degli anni ’60, appunto il folle western Se sei vivo, spara, mas­sa­crato dalla cen­sura e più volte risorto, dove il pro­ta­go­ni­sta Tomas Milian, come il Johnny Depp di Dead Man di Jim Jar­mu­sch, attra­versa tutto in film da morto o come da morto. Rive­dete l’inizio mera­vi­glioso di que­sto western, mon­tato e rimon­tato da Kim Arcalli, amico e cosce­neg­gia­tore del film, quasi un mani­fe­sto di scrit­tura per un cinema del tutto diverso da quello che si vedeva allora. Non una stra­va­ganza di genere, ma real­mente un viag­gio nell’orrore e nei segreti di una gene­ra­zione che usciva dalla guerra con pesanti ricordi e sof­fe­renze mai dige­rite, un film di «sudore, pol­vere e san­gue», come lo descri­veva lo stesso Questi.

Il tutto den­tro un pic­colo western girato in Spa­gna, coi pochi soldi tro­vati dal «peg­gio della spaz­za­tura cine­ma­to­gra­fica romana, un ex pro­dut­tore fal­lito, che non aveva più la firma per gli asse­gni e si era messo con un macel­laio che aveva soldi». È lì che si pos­sono fare esplo­dere crea­ti­vità e fol­lie di ogni tipo, dove cir­co­lano impic­cati che sem­brano ripresi dal Mano­scritto tro­vato a Sara­gozza di Potocki, ban­diti gay vestiti di bianco che stu­prano i ragaz­zini, indiani che sem­brano aver letto Il libro tibe­tano dei morti. Temi che non sarebbe stato pos­si­bile mostrare den­tro il cinema d’autore del tempo, bac­chet­tone e tri­na­ri­ciuto. Anche se Que­sti, come ricor­dava Tomas Milian intel­let­tuale rivo­lu­zio­na­rio lo era dav­vero. E col suo amico Kim ragio­nano sul cinema e sul loro pas­sato di ragaz­zini par­ti­giani, Kim nel Veneto e Giu­lio, o Jules, come lo chia­mava la banda di Ber­to­lucci evo­cando Truf­faut (Jules et Kim erano chia­mati allora) in Pie­monte. E rimet­tono in scena gli orrori della loro guerra in una Spa­gna dove è pos­si­bile incon­trare Irving Ler­ner e Robert Siod­mak che girano Custer e addi­rit­tura Orson Wel­les che sta girando lì il suo Fal­staff. E sen­ten­zia a Que­sti: «C’è un western nella vita di ogni vero regi­sta». Come sco­prirà molti anni dopo anche Quen­tin Taran­tino, che, assieme a Joe Dante, è stato tra i mas­simi fan di Se sei vivo spara. Anche se forse è Alex Cox il regi­sta che si è sen­tito più in sin­to­nia con Giu­lio Que­sti, che ha scritto le cose più inte­res­santi su di lui e che quando pre­sen­tammo il film a Vene­zia venne a omag­giare il suo mae­stro. Va rico­no­sciuto, però, che per que­sto film di esor­dio di Que­sti si sco­mo­da­rono anche i cri­tici ita­liani, di solito poco inte­res­sati al nostro western.

 

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Forse per­ché Que­sti era stato pupillo di Vit­to­rini, amico di Anto­nioni, docu­men­ta­ri­sta di talento, assi­stente di Fran­ce­sco Rosi per Kean e La sfida. Attore per Fede­rico Fel­lini in una scena chiave de La dolce vita, dove è un ricco romano disin­can­tato, e per Pie­tro Germi in Signori e signore. Senza scor­dare una stra­va­gante core­gia assieme a Giu­liano Mon­taldo e a Elio Petri di un mondo movie, Nude per vivere, fir­mato appunto «Elio Mon­te­sti». Se Alex Cox tro­vava delle somi­glianze tra il finale tra­gico del film e una tra­ge­dia di Midd­le­ton, Women Beware Women, Kezich trova che il film «è tri­bu­ta­rio più a Edgar Allan Poe che a Bret Harte, più a Roger Cor­man che a John Ford», e arri­vando poi a sco­mo­dare Bunuel e Dalì, con­clude con un mora­leg­giante: «ma le pros­sime volte que­sti regi­sti dovranno pro­prio dirci se scher­zano o fanno sul serio». Scher­za­vano o face­vano sul serio Jules et Kim? Magari entrambe le cose. Si erano cono­sciuti nel 1964, com­plice Moris Ergas, per un epi­so­dio di uno strano e sfor­tu­nato film, Amori peri­co­losi, scritto dallo stesso Que­sti e inter­pre­tato da Juliette May­niel e Frank Wolff. Ma i loro film-manifesto sono Se sei vivo, spara e il suc­ces­sivo folle thril­ler pop, La morte ha fatto l’uovo, girato in pieno 68, con Gina Lol­lo­bri­gida, Jean-Louis Trin­ti­gnant e Ewa Aulin pro­ta­go­ni­sti, ambien­tato fra i polli di bat­te­ria e com­men­tato dalla musica di Bruno Maderna.

Entrambi i film ven­nero mas­sa­crati e rimon­tati, ancora oggi non sono faci­lis­simi da recu­pe­rare inte­gral­mente. Ma frut­ta­rono a Que­sti una fama di regi­sta di culto inter­na­zio­nale. Ovvia­mente non fu facile per lui por­tare avanti que­sto tipo di cinema. Arcana, che uscirà nel 1972, sto­ria di magia dei giorni d’oggi, avrà una distri­bu­zione minima e comun­que non è un film folle e forte come i primi due. In qual­che modo, però, con Arcana si chiude il rap­porto di ami­ci­zia e di col­la­bo­ra­zione con Kim Arcalli, ormai diven­tato il mon­ta­tore e il cosce­neg­gia­tore di fidu­cia di Ber­nardo Ber­to­lucci e poi di Miche­lan­gelo Anto­nioni e di Liliana Cavani, e con­tem­po­ra­nea­mente per Que­sti si chiu­de­ranno per sem­pre le porte del grande cinema.

Pro­getti e pro­getti che non saranno mai por­tati avanti, decine e decine di caro­selli per soprav­vi­vere, anche diver­tenti, per il pro­dut­tore Arturo La Pegna, ricor­date quelli della Birra Peroni con la bionda spu­meg­giante Solvi Stu­bing?, ma anche per Gil­lette, molta tv. Ecco, pro­prio in tv rie­sce a por­tare avanti con fatica un po’ del suo cinema. Gira Vam­pi­ri­smus con Anto­nio Sali­nes e una gio­vane Fran­ce­sca Archi­bugi, Non aprire all’uomo nero con Aurore Clé­ment e Giu­liano Gemma, Il segno del comando con Michel Bou­quet, Robert Powell e Elena Sofia Ricci, la bella serie dell’Ispettore Sarti con Gianni Cavina, dei proto-videoclip sulle can­zoni più cele­bri di Lucio Bat­ti­tsi che amava molto.

 

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Un giorno mi chiama e mi chiede chi sia Quen­tin Taran­tino. Un pro­dut­tore gli ha chie­sto di girare un film alla Taran­tino, che lui non cono­sce. Ma come un film alla Taran­tino?, gli risposi, girane uno alla Giu­lio Que­sti. Più o meno… Tanti anni fa, Giu­lio Que­sti è stata la prima per­sona di cinema che ho cono­sciuto e inter­vi­stato a Roma, per un libro su Kim Arcalli, appena scom­parso, e mi intro­dusse in un mondo che non cono­scevo con una gra­zia e un rispetto per il pro­prio lavoro che rara­mente ho poi ritrovato.

Credo che il suo pas­sato par­ti­giano lo avesse ferito nel pro­fondo e che i suoi fan­ta­smi, che solo in parte con­di­vise con Kim Arcalli, lo venis­sero a tro­vare molto spesso. Ma ancora oggi credo che Se sei vivo, spara sia un capo­la­voro, non solo del cinema western e del nostro cinema. Un ragio­na­mento sulla morte e sul male, come scrive Alex Cox.

E ho ritro­vato in que­sti due libri, da poco usciti, e che lui stesso ha lan­ciato pochi giorni fa durante le gior­nate del Festi­val di Torino assieme alla sua retro­spet­tiva, la stessa forza e la stessa gra­zia di scrittore.


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