Abe vince le elezioni ma volano le astensioni “Ora stop alla recessione”

by redazione | 15 Dicembre 2014 8:29

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PECHINO . Tra il salto mortale con i liberali di Shinzo Abe e il salto nel vuoto con l’opposizione dei democratici di Banri Kaieda, il Giappone ha scelto di concedere altro tempo al premier nazionalista, nella speranza che la terza economia del mondo riesca a riagganciare la crescita. Abe ha vinto ieri la scommessa personale del «referendum anticipato» sulla sua “Abenomics”, blindando la maggioranza dei due terzi dei seggi alla Camera alta, conquistata nel 2012 assieme agli alleati del New Komeito. L’Ldp del primo ministro, smentendo i sondaggi, non ha però trionfato, perdendo 5 seggi.
Abe non sarà costretto a dimettersi, come promesso in caso di sconfitta, ma il vero vincitore delle elezioni anticipate è stato il partito dell’astensionismo, che ha battuto ogni record. Solo il 52,4% dei giapponesi si è recato alle urne, rispetto al 59,5% di due anni fa. Quasi metà degli elettori ha dimostrato di non aver condiviso la scelta di Abe di riportare il Paese al voto per la terza volta in cinque anni. Il centrodestra del premier ha prevalso per assenza di alternative, ma il «mandato popolare in bianco» invocato da Abe per accelerare le riforme economiche e cambiare la Costituzione non è stato concesso. Per la prima volta in Giappone quello del non voto e delle schede bianche è stato il primo partito: il messaggio è che il ritorno anticipato alle urne è servito solo a prolungare la leadership di Abe oltre il 2016.
La maggioranza di Ldp e New Komeito ha conquistato 325 deputati, come 2012. I due terzi dei 475 seggi nel ramo più forte della Dieta, fissati a 317, permettono ad Abe di non dover fare i conti con veti al Senato, accentrando il potere più ampio dai tempi dell’ex premier Koizumi. Assieme a rifiuto della politica e rassegnazione, i giapponesi hanno premiato l’unico schieramento alternativo ai liberaldemocratici. Il partito comunista di Kazuo Shii ha quasi triplicato i propri 8 seggi. Ne ha ottenuti 21, diventando la quarta forza grazie all’opposizione alla riapertura delle centrali atomiche e alla revisione della Costituzione pacifista del 1946. Il quarto responso delle urne è stato il crollo del partito democratico, privo di leader, accusato di essere filo-Pechino, incapace di proporre un’alternativa riformista all’”Abenomics”. Il Dpj ha conquistato 73 seggi, più dei 59 di due anni fa, meno però della soglia fissata nei giorni scorsi a 100. Dopo la sconfitta, con la clamorosa bocciatura sia dell’ex premier Naoto Kan che di Banri Kaieda, si annuncia un terremoto: dimissioni del presidente e azzeramento di tutti vertici Dpj.
Boom invece per l’estrema destra neo-nazionalista del sindaco di Osaka, Toru Hashimoto, salita a 41 seggi. «Chi ha votato — dice il politologo Tomoaki Iwai — ha scelto la stabilità dopo cinque anni di crisi politiche. Ad Abe però è andato solo il beneficio del dubbio: se fallirà la ripresa, dovrà assumersi la piena responsabilità». Dopo la vittoria il premier ha invece esibito ottimismo, promettendo di accelerare le riforme strutturali, “terza freccia” della sua politica economica ultraespansiva.
Se tra i giapponesi ha prevalso la paura della recessione, all’esterno suona l’allarme di una deriva nazionalista e autoritaria. Con la vittoria di Abe potranno proseguire yen debole, incentivi fiscali e stimoli della Banca centrale, con l’acquisto di altro debito pubblico per rilanciare i consumi e scongiurare la deflazione, mentre il secondo aumento dell’Iva al 10% sarà rinviato all’autunno 2017. Assieme ad una progressiva riapertura delle 52 cen- trali nucleari, fermate dopo il disastro di Fukushima, avanzano però anche corsa al riarmo, riscrittura della storia, negazione dell’imperialismo nipponico e una serie di nuove leggi liberticide, tra cui quella sul segreto di Stato. Tra i primi scogli di Abe, il trasferimento della base Usa da Okinawa: bocciati ieri tutti i quattro candidati Ldp filo-americani. La parola, dagli elettori, passa ora ai mercati: atteso anche in Europa un brindisi al rilancio dell’Abenomics, ma rinviare il risanamento è un lusso che Tokyo sa di dover presto pagare.
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