Ecco il volto del soldato Usa che uccise Osama bin Laden
by redazione | 7 Novembre 2014 10:28
WASHINGTON Quella notte a salire l’ultima rampa di scale nella palazzina di Abbottabad, Pakistan, erano in cinque. Cinque membri del Team Six dei Navy Seal. Il primo ha aperto il fuoco su Bin Laden e forse ha mancato il bersaglio. Allora è toccato al secondo centrare il fondatore di Al Qaeda. Quindi lo hanno finito. Solo allora hanno lanciato il messaggio radio criptata: «Per Dio e per il Paese, Geronimo, Geronimo, Geromino, Geronimo. E.K.I.A». Nemico ucciso in azione.
Da quel momento, durato appena 15 secondi, è iniziata la saga, con molte versioni sull’identità del soldato che ha tirato il colpo. Guerrieri che si sono coperti di gloria e ora ne cercano altra facendo arrabbiare i loro compagni, custodi del segreto e fedeli alle regole del silenzio.
A rompere di nuovo il codice, Rob O’Neill, con un’intervista al Washington Post e tra pochi giorni sugli schermi di Fox News . «Osama è apparso sull’ingresso della camera da letto al terzo piano. Il mio compagno ha aperto il fuoco ma ha sbagliato. L’ho superato ed ho visto il bersaglio davanti a me. Eravamo al buio ma avevo i visori. In una frazione di secondo ho sparato due volte, colpendolo alla testa. È morto all’istante».
O’Neill non è un soldato qualsiasi. Dodici missioni in Afghanistan e Iraq, centinaia di missioni di combattimento, 52 tra medaglie e onorificenze, tre film ispirati alle sue azioni. Zero Dark Thirty, Captain Phillips e Lone Survivor . Ha combattuto terroristi, pirati somali e talebani insieme agli uomini che sono gli speciali degli speciali, quelli del DevGru: con quel ruolino ci può stare che sia stato lui lo sparatore. Anche se altri non ne sono convinti. Un dubbio che ha coinvolto il suo collega, Matt Bissonette, autore di un libro « No easy day » e in uscita con un secondo, che per primo ha sostenuto di aver partecipato all’operazione. Un particolare sul quale è intervenuto Rob: «Vero, c’era anche lui ed ha sparato insieme a un terzo soldato».
Torniamo a O’Neill. Trentotto anni, nato a Butte, nello splendido Montana, è entrato nei Commandos a 19 anni e c’è rimasto per altri 16 . Mi sono arruolato, ha spiegato lui, dopo una love story fallita. No, lo ha fatto dopo che siamo andati a caccia con un Navy Seal, lo ha corretto il padre. Dettagli, conta il seguito sui tanti fronti di guerra. Fino all’incursione del Red Squadron a Abbottabad. I soldati con il distintivo che raffigura la testa di indiano e due tomahawk. Sono loro a consumare la vendetta che l’America chiedeva.
Chiuso quel capitolo, O’Neill ne ha aperto un altro. Congedatosi, si è trasformato in conferenziere di successo, insegnando coraggio, motivazione, capacità di controllo con lo slogan «non mi arrendo mai». Un nuovo lavoro con l’attenzione di guardarsi sempre alle spalle. In un’intervista, anonima, rilasciata a Esquire , ha ammesso: «Ho detto a mia moglie e ai miei figli di tenere una borsa sempre pronta, nel caso dovessimo scappare all’improvviso». Più spavaldo il padre. A chi gli chiede se non teme i jihadisti ha replicato: «Dipingerò un grande bersaglio sulla porta della mia casa e dirò: venite pure».
I problemi, però, potrebbe venire dalla sua ex «famiglia». I Seal. Bissonette è finito sotto inchiesta per aver rivelato informazioni top secret e quelli del suo reparto hanno tagliato qualsiasi contatto. Altri fremono dalla rabbia. I comandanti hanno scritto una doppia lettera ricordando quali siano le regole da osservare. A O’Neill non basterà l’onore, gli servirà un buon avvocato.
Guido Olimpio