Sfratti a Milano, incendio ad arte

Sfratti a Milano, incendio ad arte

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Anche a Milano l’attuale crisi eco­no­mica mon­diale ha eli­mi­nato migliaia di posti di lavoro e sta tra­sci­nando cen­ti­naia di per­sone verso la povertà asso­luta, con ormai una mol­ti­tu­dine di fami­glie escluse da un cir­cuito di wel­fare garan­tito fino a qual­che anno fa.

Ciò sta rile­vando che il sistema capi­ta­li­stico urbano di fatto non garan­ti­sce un futuro pro­spero per tutti, ma solo a una cer­chia sem­pre più ristretta di cittadini.

La crisi e la con­se­guente reces­sione rende palese che i mec­ca­ni­smi di inclu­sione e di coe­sione sociale per una sem­pre più vasta fascia debole urbana stanno saltando.

Si sta infatti pro­du­cendo nei quar­tieri popo­lari uno sfal­da­mento di un tes­suto sociale, già lace­rato da decenni di dein­du­stria­liz­za­zione, che arri­verà a impe­dire una con­vi­venza civile in que­sti territori.

L’idea che cicli­ca­mente torna in auge come solu­zione al pro­blema, fomen­tata dai mezzi di comu­ni­ca­zione e fatta pro­pria da tutte le forze poli­ti­che legit­ti­mate da que­sto ini­quo sistema rap­pre­sen­ta­tivo, pare essere quella della repres­sione legata ad una ben col­lau­data stig­ma­tiz­za­zione dei poveri.

La dele­git­ti­ma­zione dei sin­da­cati e dei movi­menti urbani di lotta rien­tra in que­sta stra­te­gia che tende a inde­bo­lire i già risi­cati stru­menti di difesa e orga­niz­za­zione dal basso.

La poli­tica abi­ta­tiva può venire in que­sto modo ridotta prin­ci­pal­mente nell’individuare le forme di repres­sione più effi­caci senza cogliere né le cause del pro­blema ne ricer­care le pos­si­bili soluzioni.

Si assi­ste così in que­sti giorni al rin­cor­rersi di pro­po­ste tra­sver­sali che vanno dall’esercito nelle strade, alla poli­zia muni­ci­pale mili­ta­riz­zata fino all’idea del vigi­lan­tes custode del bene pub­blico, nella fat­ti­spe­cie molto deteriorato.

In rispo­sta così ad un esi­genza reale di sicu­rezza nei quar­tieri popo­lari ai quali dovreb­bero essere for­nite rispo­ste ben più arti­co­late si riper­cor­rono vec­chi sen­tieri un tempo sol­cati dalle forze rea­zio­na­rie ed ora defi­ni­ti­va­mente sdo­ga­nati in maniera trasversale.

Le due cri­ti­cità sulle quali si dovrebbe inter­ve­nire per disin­ne­scare almeno in parte una emer­genza abi­ta­tiva che comin­cia ad avere con­torni di dram­ma­ti­cità non più sop­por­ta­bili: gli sfratti ed il degrado strut­tu­rale dei quar­tieri di edi­li­zia pub­blica, rischiano di venir trat­tate esclu­si­va­mente come que­stione di ordine pubblico.

È di tutta evi­denza invece che se non si pone mano da una parte ad una riforma della legge delle loca­zioni pri­vate (L.431/98) con la fis­sa­zione per legge di canoni sop­por­ta­bili assieme ad una ormai indi­spen­sa­bile gra­dua­zione degli sfratti e dall’altra all’individuazione di una fisca­lità che per­metta il sov­ven­zio­na­mento ed il man­te­ni­mento dell’edilizia pub­blica, nulla potrà essere risolto nean­che con i carri armato al Loren­teg­gio o al Giambellino.

Anche a livello locale, pro­prio se non si vuole che i quar­tieri più cri­tici diven­tino terra di scon­tro tra i poveri si deve ren­dere prio­ri­ta­rio un inter­vento a soste­gno della popo­la­zione delle peri­fe­rie con una mag­giore pre­senza di ser­vizi sociali, riqua­li­fi­ca­zione delle scuole, asso­ciata ad una poli­tica di inter­venti di riqua­li­fi­ca­zione (anche ambien­tale) dei quar­tieri popolari.

Al di fuori di que­sta pra­tica poli­tica c’è pur­troppo solo l’idea della spe­cu­la­zione immo­bi­liare (con il suo baga­glio di pro­po­ste che vanno dagli annunci più radi­cali quali l’abbattimento dei quar­tieri di edi­li­zia pub­blica fino alla ven­dita delle case popo­lari) da sem­pre cavallo di bat­ta­glia della destra orga­nica a quella bran­chia del capitale.

Si inse­ri­sce scia­gu­ra­ta­mente in que­sta logica la cam­pa­gna di stampa orche­strata a Milano sulla que­stione delle occu­pa­zioni abu­sive e sull’estremo degrado delle peri­fe­rie. Sorge forte il sospetto che si parli delle peri­fe­rie per il periodo pro­pi­zio a una cam­pa­gna elet­to­rale o, come detto, si vogliono far pas­sare delle poli­ti­che che favo­ri­scono la ren­dita immo­bi­liare anche sulla pelle di chi subi­sce già una con­di­zione di rei­te­rata esclu­sione. Per il restante periodo dell’anno i poveri della peri­fe­ria sono una entità sociale che inquieta, per que­sto li si emar­gina, non si vogliono né vedere né ascoltare.

Le cen­ti­naia di occu­pa­zioni di alloggi popo­lari di quest’anno indi­cano ine­qui­vo­ca­bil­mente che il pro­blema abi­ta­tivo lo si è voluto far incan­cre­nire pro­prio sul ter­ri­to­rio dove dove­vano essere tro­vate le solu­zioni più urgenti, quali la ristrut­tu­ra­zione degli alloggi sfitti ed una con­se­guente amplia­mento dell’offerta pub­blica di case a canone sociale. A fronte di un emer­genza con­cla­mata con cen­ti­naia di sfratti ese­guiti in città, i 10.000 alloggi sfitti sono una con­trad­di­zione troppo stri­dente per non denun­ciare pre­cise respon­sa­bi­lità delle isti­tu­zioni a tutti livelli.

Que­sta sot­to­va­lu­ta­zione dell’emergenza casa da chi doveva attuare una poli­tica ade­guata all’enorme livello di biso­gno di una così vasta fetta di popo­la­zione ed un las­si­smo sospetto di chi aveva il com­pito con­trol­lare e curare il patri­mo­nio pub­blico in gestione ha lasciato interi quar­tieri nelle mani di pic­coli mala­vi­tosi orga­niz­za­tori di occu­pa­zioni ren­dendo di fatto la vita degli inqui­lini resi­denti ancora più disa­giata e degra­dando pro­gres­si­va­mente l’ambiente.

Sarebbe stato suf­fi­ciente per disin­ne­scare almeno una parte della que­stione delle occu­pa­zioni appli­care un accordo sot­to­scritto nel 2012 tra l’allora Asses­sore alla Casa del Comune di Milano e tutti i sin­da­cati e comin­ciare a rego­la­riz­zare quelle fami­glie che hanno occu­pato in stato di neces­sità e che pre­sen­tano con­di­zioni di fra­gi­lità sociale. Nono­stante le cen­ti­naia di domande docu­men­tate nes­suna istanza è stata esa­mi­nata e ora sarà sem­pre più dif­fi­cile inter­ve­nire in una con­te­sto dove la situa­zione in più parti della città è degenerata.

Gli annunci irre­spon­sa­bili di Aler, Pre­fet­tura, Comune e Regione di sgom­beri indi­scri­mi­nati, gli editti medioe­vali del Governo di togliere agli occu­panti luce, gas e resi­denza ren­den­doli dei paria della società e l’escalation dei mass media nella cri­mi­na­liz­za­zione di tutti gli occu­panti indi­stin­ta­mente dallo stato di biso­gno stanno fomen­tando irre­spon­sa­bil­mente un odio mon­tante tra gli abi­tanti delle case popo­lari in guerra tra loro e il resto della città che vede que­sti ter­reni di scon­tro come ter­ri­tori da bonificare.

I drammi sociali che si pre­an­nun­ciano per gli abi­tanti dei quar­tieri popo­lari con uno uso scri­te­riato della vio­lenza dif­fi­cil­mente potranno non pro­durre una frat­tura tra le peri­fe­rie e il resto della metro­poli andando a ero­dere il diritto alla casa della fascia più debole della cit­ta­di­nanza e finan­che a scal­fire il senso del diritto di ogni inqui­lino ad avere una vita dignitosa.

Sarà una sta­gione lunga dove si dovrà ten­tare di difen­dere le situa­zioni più deboli e dove la resi­stenza agli sgom­beri di chi ha occu­pato per neces­sità diven­terà un inter­vento cen­trale di chi lotta nel ter­ri­to­rio sulla que­stione abitativa.

Ma un’opposizione con­tro un potere fatto di sola repres­sione non potrà essere con­trap­po­sto comun­que un anta­go­ni­smo basato esclu­si­va­mente sullo scon­tro che ripro­duce all’esterno l’incapacità di com­pren­dere la com­ples­sità dei luo­ghi dove si inter­viene e la fra­gi­lità delle per­sone che vi abitano.

Fermo restando le sover­chie respon­sa­bi­lità delle Isti­tu­zioni, le ten­sioni e l’invivibilità in intere fette di ter­ri­to­rio urbano non por­tano soli­da­rietà per nes­suna forma di lotta che con­tri­bui­sce a gene­rarle, non pro­du­cono con­senso e tan­to­meno pro­muo­vono organizzazione.

Non in asso­luto, ma ormai troppo spesso lo stru­mento di lotta mirato a sod­di­sfare l’immediato il biso­gno abi­ta­tivo di una esi­gua mino­ranza a sca­pito, a volte con­tro, la mag­gio­ranza di chi abita quar­tieri di edi­li­zia popo­lare genera, mol­ti­pli­can­dolo, degrado e spesso sopraf­fa­zione del più debole.

Poca indi­gna­zione di con­verso susci­tano le 80mila case pri­vate sfitte a Milano che sono una con­trad­di­zione ben più stri­dente di que­sta dram­ma­tica emer­genza abitativa.

La pre­senza mili­tante nei luo­ghi di soprav­vi­venza della classe subal­terna deve essere dun­que ripen­sata in fun­zione di una riven­di­ca­zione per il miglio­ra­mento delle con­di­zioni di vita, per la resti­tu­zione della dignità e del decoro del vivere e abi­tare in quello che ora sono luo­ghi di esclu­sione e alienazione.

Obiet­tivo deci­sa­mente più com­pli­cato che pre­sume un ela­bo­ra­zione poli­tica più ele­vata rispetto a quella pro­dotta fino ad ora e pro­ba­bil­mente il rag­giun­gi­mento di un più alto livello di conflittualità.

Deve orien­tarsi e matu­rare così una con­trap­po­si­zione radi­cale a un sistema (con mec­ca­ni­smi cono­sciuti e respon­sa­bili ben indi­vi­dua­bili) che ghet­tizza le peri­fe­rie, sfratta, espelle e depriva dei pro­pri diritti all’abitare masse sem­pre più nume­rose di popo­la­zione che hanno biso­gno ora più che mai di una difesa uni­ta­ria, cosciente, orga­niz­zata e quanto più pos­si­bile determinata.

Sicet-Milano



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