Schedati fino all’ultimo tweet quei 140 caratteri per sempre”

Schedati fino all’ultimo tweet quei 140 caratteri per sempre”

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SIN dall’epoca delle email e, soprattutto, degli sms e delle chat, abbiamo imparato a correggere la massima classica e a dire che «scripta volant »: sulle onde delle reti si scrive e riceve risposta quasi al ritmo battente della conversazione orale. Con i più recenti annunci di Twitter dovremo completare la formula, e anche incominciare a insegnarla a partire dalle scuole elementari: quegli «scripta» che «volant» sono fatti di «verba» che meno simpaticamente «manent», e per sempre. Nei prossimi giorni verrà infatti messo a disposizione degli utenti di Twitter un motore di ricerca capace di risalire a ogni singolo tweet che sia stato scritto da quando esiste il social network, ovvero da otto anni. Tutto l’archivio. Storici, sociologi, linguisti, semiologi potrebbero restare tramortiti dalle possibilità documentali che si aprono loro. Sarà loro possibile ricostruire i mega-cinguettii globali che accompagnarono la storica elezione di Barack Obama o quelli nazionali sulla caduta di Silvio Berlusconi. E poi usi linguistici, tormentoni, hashtag, battute, giochi di parole, commenti a programmi televisivi. «That’s life », ma anche: «That’s live twitting ».
I privati cittadini avranno invece qualche aggiuntiva ragione di inquietudine. Credevano di aver cinguettato in santa pace, contavano sulla naturale obsolescenza delle loro succinte sciocchezze in TimeLine. Soprattutto i più giovani: come fai, a diciassette anni, a prevedere che fra cinque una cacciatrice di teste o un direttore del personale includeranno nel tuo curriculum il tuo entusiasmo ormonale per una star, la tua irrefrenabile scurrilità adolescenziale, un’irriverenza qualsiasi, magari contro il Papa?
È il tema, già a lungo dibattuto, del «diritto all’oblio». Il passato non si può cancellare: gli archivi telematici però sì. Purtroppo la decisione non è in mano né alla ponderazione dei comitati etici né alla saggezza elettiva delle assemblee parlamentari (anche se in Italia probabilmente quest’ultimo non è uno svantaggio, vista la comica insipienza che la politica inesorabilmente dimostra nei confronti delle tecnologie della comunicazione). Le agenzie che decidono sono, invece, direttamente le aziende: forti del loro seguito e del loro successo, in pubblicità e in borsa, nonché della natura sovranazionale del loro business, fanno più o meno quel che vogliono.
Invece che leggi di censura e blocco, arruffate e sempre aggirabili, la risposta pubblica dovrebbe prevedere innanzitutto la prevenzione. Spiegarlo già a scuola. Email, sms, chat, post, tweet, whatsapp hanno avvicinato moltissimo la dimensione della scrittura a quella dell’oralità. Le email che incominciano con «egregio» sono molto più imbarazzanti di una parola sgrammaticata o mal scritta in un sms. Del resto anche il funzionario che tiene a scrivere in stile ampolloso quando invece parla non si preoccupa troppo della propria pronuncia o della propria sintassi. E una volgarità che si faticherebbe a scrivere in inchiostro ma non a pronunciare, appare più veniale nelle scritture a video.
Il punto è che di scrittura si continua a trattare, e la scrittura, come ricordano gli studi di Maurizio Ferraris sulla Documentalità ancora prima che una trasmissione è una registrazione: una traccia. I fuori onda, le intercettazioni e le registrazioni (più o meno legali) non hanno ancora insegnato ai politici che dovrebbero sempre parlare come se fossero microfonati. Ma si sa che i politici pensano che la comunicazione dipenda dalla loro esclusiva volontà, o dal controllo che pensano di avere su editori e distributori. Che dire, impareranno. E così conviene anche e soprattutto ai privati cittadini imparare che se in un momento di esasperazione il loro vaffa non lo urlano ma lo scrivono a tutte maiuscole in una comunicazione, l’urlo VAFFA resterà scritto sulla bacheca, sull’account email, nell’archivio degli sms del loro interlocutore. Basta un attimo. Il «tempo reale» dell’emanazione produce, nell’impressione che fa, una durata indefinita. E cancellare l’impressione lasciata da uno scritto (a sua volta «impresso» su un supporto) è meno facile che dire «scusa, mi è venuta alla bocca un’imprecazione, non volevo». Se non volevi scriverlo, potevi ripensarci e cancellarlo prima di dare l’invio. Invece l’hai scritto e inviato. Guarda tu stesso.
E quindi, ragazzi, qualsiasi età abbiate, dai dieci ai novantanove anni, oltre al casco quando andate in moto ricordate un’altra cosa. Che quello che è scritto è scritto. Fa curriculum.


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