Sangue sulla preghiera del mattino Gerusalemme piange i suoi morti

by redazione | 19 Novembre 2014 9:46

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GERUSALEMME Parla alla nazione come quest’estate durante i cinquanta giorni di guerra con Hamas e in guerra il premier israeliano si considera. « Gerusalemme è sotto attacco, dobbiamo restare uniti» proclama in televisione. Prima di annunciare le contromisure che dovrebbero riportare la calma nella città dopo sei attentati in meno di un mese: posti di blocco e controlli all’ingresso dei quartieri arabi, la demolizione delle case dei palestinesi coinvolti negli assalti, operazioni militari per fermare le violenze. Yitzhak Aaronovitch, il ministro per la Sicurezza interna, promuove la proposta più radicale: ammorbidire le regole per il porto d’armi, un’invocazione ai civili perché si difendano da soli.
Senza protezione erano gli ultraortodossi arrivati all’alba di ieri mattina nella sinagoga Kehilat Bnei Torah, nella zona di Har Nof, a pochi chilometri da Yad Vashem, il memoriale dell’Olocausto. I cadaveri sul pavimento portano ancora i simboli della preghiera, i tefillin di cuoio nero avvolti sul braccio, gli scialli bianchi inzuppati di sangue. I due palestinesi li hanno ammazzati a colpi di mannaia, accetta, pistola, li hanno inseguiti mentre fuggivano: sono stati bloccati da due poliziotti della stradale, i primi a intervenire, a fermare la carneficina.
«Hanno lasciato quattro vedove e ventiquattro orfani» dice il rabbino Yizthak Rubin. Vivevano tutti sulla stessa via, in questa zona abitata in maggioranza da famiglie religiose, i palazzoni bianchi terrazzati che guardano verso la foresta attorno alla parte occidentale di Gerusalemme. Quartiere di immigrati come quattro delle vittime: tre sono americani (e l’Fbi partecipa alle indagini), uno britannico. In serata è morto anche un poliziotto colpito nella sparatoria. Sei i feriti. L’italiano-israeliano Nissim Sermoneta si è salvato per aver tirato una sedia contro gli attentatori: «Veniva verso di me con una pistola — racconta all’agenzia Ansa — ho anche sollevato un tavolo e l’ho usato come scudo». I due terroristi sono stati uccisi dalla polizia. Rassan e Uday Jamal erano cugini, abitavano a Jabal Mukaber dall’altra parte di Gerusalemme. L’area è stata circondata, le loro case perquisite, alla moglie di uno di loro è stato revocato il permesso di residenza, deve tornare nel villaggio della Cisgiordania da cui proviene. I parenti dicono che i due erano infuriati per la morte dell’autista arabo di autobus trovato impiccato lunedì.
La polizia dice che si tratta di suicidio, i palestinesi sono invece convinti che l’uomo sia stato ucciso da estremisti ebrei e gli agenti abbiano coperto l’omicidio. Netanyahu ha sfruttato l’appello all’unità del Paese anche per ammonire i suoi ministri.
Prima dell’attacco la crisi di governo sembrava possibile e vicina, adesso la coalizione si rinsalda come sempre durante i conflitti. Il premier deve cercare di controllare i ministri più oltranzisti, come Naftali Bennett che definisce il presidente palestinese Abu Mazen «un terrorista in completo e cravatta» e chiede che gli ebrei possano pregare sul Monte del Tempio-Spianata delle moschee, un cambio delle regole considerato oltraggioso dai musulmani. Allo stesso tempo sa di dover parlare agli elettori di destra, quelli che lo hanno votato perché in lui vedevano Mr Sicurezza.
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