Ribaltone a Bucarest, Johan­nis il conservatore supera il «socialista» Ponta

by redazione | 18 Novembre 2014 11:25

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Klaus Johan­nis, pro­fes­sore di fisica di 55 anni di ori­gini tede­sche, è il nuovo pre­si­dente della Repub­blica di Roma­nia. Prende il posto di Tra­ian Base­scu il cui dop­pio man­dato sca­drà il 21 dicem­bre. Johan­nis, sin­daco di quella Sibiu già capi­tale 2007 delle cul­tura euro­pea e lea­der del Par­tito Nazio­nal Libe­rale, ha bat­tuto al bal­lot­tag­gio il social­de­mo­cra­tico ed attuale primo mini­stro Vic­tor Ponta, con­qui­stando il 54.5% delle pre­fe­renze con­tro il 45.5% del pre­mier, dopo che quest’ultimo aveva chiuso in testa il primo turno con ben dieci punti di van­tag­gio (40% con­tro il 30%). Nes­sun errore, avete letto bene.

Anche Renzi ci ha messo la faccia

Il lea­der social­de­mo­cra­tico, la cui can­di­da­tura è stata appog­giata anche da Mat­teo Renzi, che gio­vedì scorso era ospite a Buca­rest per aprire in diretta tv il terzo fac­cia a fac­cia media­tico tra i due can­di­dati, ha perso ben 18 punti per­cen­tuali. In sole due set­ti­mane, non è poco.

Come si spiega il sui­ci­dio poli­tico di Ponta? L’arroventato (non) voto dei rumeni della dia­spora nel primo turno, aveva destato severe rea­zioni inter­na­zio­nali ed indi­spet­tito non solo chi, all’estero, non aveva potuto votare dopo ore di coda alle amba­sciate per una pes­sima orga­niz­za­zione dei seggi; ma anche chi, in Roma­nia, aveva fiu­tato l’insano ten­ta­tivo di una volon­ta­ria mano­vra gover­na­tiva per impe­dire ai rumeni all’estero di indi­riz­zare il pro­prio voto al centro-destra.

La vicenda ha costretto alle dimis­sioni Titus Cor­la­tean, il cui posto al mini­stero degli Esteri è stato preso dall’esperto Teo­dor Mele­scanu. Dopo il pas­sa­pa­rola sui social net­work, i mani­fe­stanti hanno insce­nato una pro­te­sta spon­ta­nea per chie­dere tra­spa­renza nel voto dei romeni della dia­spora ed hanno invi­tato i meno appas­sio­nati a pre­ci­pi­tarsi alle urne per ‘ripren­dersi il paese’. L’onda, che ha por­tato alle urne il 63% degli elet­tori (dieci punti per­cen­tuali in più rispetto al primo turno chiuso poco sopra il 53%) è stata così forte che ha let­te­ral­mente tra­volto Ponta. Nono­stante le con­di­zioni di voto all’estero non siano state degne di un sistema demo­cra­tico (a Parigi e a Torino tan­tis­simi votanti in coda dalla mat­tina sono stati dispersi con i gas lacri­mo­geni e non sono riu­sciti a votare). Un’altra figu­rac­cia per la social­de­mo­cra­zia euro­pea (e anche Renzi ci ha messo la faccia).

Ora a Buca­rest si ripro­pone il nodo della coa­bi­ta­zione tra ese­cu­tivo e pre­si­denza della Repub­blica che tanto male ha fatto alla gover­na­bi­lità della Roma­nia (una repub­blica semi-costituzionale sul modello fran­cese in cui il pre­si­dente ha chiari poteri deci­sio­nali) nell’ultimo anno e mezzo, quando il gio­vane Vic­tor Ponta, del­fino dell’ex pre­mier Adrian Nastase (con­dan­nato ed incar­ce­rato per due anni e mezzo fra le altre cose, per cor­ru­zione e finan­zia­mento ille­cito dei par­titi), aveva dovuto con­di­vi­dere il potere con il pre­si­dente Base­scu, assai poco acco­mo­dante con i suoi avver­sari. Adesso Ponta dichiara di non voler ras­se­gnare le dimis­sioni, a meno che non siano i mem­bri del suo governo a chie­der­glielo e di voler avviare il dia­logo con il pre­si­dente per il bene del paese (già visto e sen­tito, come quando fu inca­ri­cato di risol­vere la crisi del governo Boc dando vita, lui uomo di sini­stra, ad un’improbabile intesa con con­ser­va­tori e liberali!).

Johan­nis assu­merà l’incarico uffi­cial­mente il 22 dicem­bre. Fino ad allora, avrà tutto il tempo di inta­vo­lare trat­ta­tive con l’attuale governo e pro­porre un rim­pa­sto che miri a ren­dere migliore il rap­porto tra le due prin­ci­pali isti­tu­zioni della Romania.

All’ombra della crisi eco­no­mica, che si sente anche qui. Riforma della giu­sti­zia, giu­sto sfrut­ta­mento dei fondi strut­tu­rali euro­pei, cre­scita, ripia­na­mento del debito pub­blico: ecco i prin­ci­pali temi sui quali, come da pro­messa elet­to­rale, dovrà lavo­rare Johan­nis nel pros­simo quin­quen­nio. Governo permettendo.

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