Il meccanismo delle penalizzazioni, introdotto dalla legge Fornero, accantonava il vecchio sistema in base al quale i 40 anni di contributi rappresentavano una sorta di «tana libera tutti » e, indipendentemente dall’età anagrafica, visti i numerosi anni di lavoro alle spalle, offrivano un via libera per lasciare il lavoro. Con la Fornero si cambiò: anche i 40 anni (che nel frattempo erano saliti a 42 e un mese per le riforme Sacconi e Tremonti) non erano più l’unico criterio che apriva la strada alla pensione, ma era necessario anche avere 62 anni di età anagrafica. Se si voleva andare prima dei 62 anni anagrafici si doveva accettare un taglio all’assegno pari all’1 per cento per ciascuno dei primi due anni e del 2 per cento per i successivi (per 4 anni di anticipo si «pagava» il 6 per cento). Con l’emendamento approvato ieri si torna alla situazione pre Fornero, rimasta in vigore dal 1° gennaio del 2012 al 1° gennaio del 2015: con 42 anni e 1 mese di contributi si va liberamente in pensione e senza penalità.
Turata anche la «falla» nella legge Fornero che consentiva a chi resta al lavoro fino a tarda età, intorno ai 70 anni e ha uno stipendio alto, di ottenere una pensione del 20 per cento superiore all’ultimo stipendio. La questione riguarda 160 mila dipendenti pubblici e privati (ma naturalmente morde di più sugli alti burocrati che possono lavorare fino a 70 anni e che hanno stipendi alti) e sarebbe costata circa 2,5 miliardi in dieci anni. Il sistema contributivo della riforma Fornero fa crescere la pensione con il passare degli anni mentre il retributivo la bloccava all’80 per cento del vecchio stipendio. Ci sarebbe voluto un «tetto» che ora viene introdotto a partire dal 2015 anche sui trattamenti che sono stati liquidati negli ultimi tre anni.
La legge di Stabilità ha concluso ieri il suo cammino in Commissione Bilancio della Camera: oggi passa in aula dove l’esame si concluderà, come annunciato dal governo, con il probabile voto di fiducia tra il week end e lunedì. Insistono sul sociale e sul lavoro alcune delle norme approvate nelle ultime ore: dopo il bonus di 80 euro per i lavoratori dipendenti e quello di egual misura per le neo mamme con reddito Isee fino a 25 mila euro, arrivano bonus speciali monetizzabili per le famiglie numerose e incentivi per i buoni pasto. Ridefinizione dei criteri per i patronati, che diminuiranno di numero, ma il taglio dei fondi a loro riservati si dimezza a 75 mitra lioni di euro L’Agenzia delle Entrate potrà utilizzare appieno le banche dati sul fisco senza concentrarsi solo sui contribuenti a maggior rischio evasione, come previsto dai criteri di selezione inseriti del decreto Salva Italia. Altro emendamento aiuterà i politici: I candidati e gli eletti alle cariche Pubbliche potranno detrarre i finanziamenti ai partiti considerati erogazioni liberali.
Tra le norme approvate ieri quella proposta da Ncd, che prevede un bonus-pannolini per circa 45 mila famiglie con più di quattro figli e con reddito complessivo di 8.500 Isee (circa 40 mila Irpef): avranno circa 1.000 euro l’anno in buoni acquisto che si sommeranno, in questi casi specifici, al bonus bebè. Al- importante norma, votata in Stabilità, è l’aumento a 7 euro della deducibilità fiscale dei buoni pasto elettronici (ferma da 15 anni a 5,29): l’emendamento del Pd Causi, che scatterà dal luglio del 2015, porterà circa 400 milioni l’anno in più di spesa per la pausa pranzo di un esercito di lavoratori dipendenti.
Le deduzioni Irap per i neo assunti vengono estese anche ai lavoratori agricoli e sono previsti mutui agevolati per i giovani agricoltori. Apprezzamento anche da Rete imprese per il ritorno della “piccola mobilità”, gli sgravi alle piccole aziende che assumono lavoratori espulsi da altre aziende anche nel 2012 e nel 2013