Pd. Problema di partito

by redazione | 25 Novembre 2014 19:56

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Regio­nali chi? Siamo stati facili pro­feti nel titolo del gior­nale di dome­nica. Ma non fino a pre­ve­dere un crollo della par­te­ci­pa­zione così esteso. E quindi trau­ma­tico e pre­oc­cu­pante per tutti i par­titi. In par­ti­co­lare per il Pd: i suoi voti in Emi­lia Roma­gna erano un milione e due­cen­to­mila, ma a sei mesi dalle ele­zioni euro­pee sono diven­tati appena cin­que­cen­to­mila. Man­cano all’appello più o meno 700 mila elet­tori, e rispetto alle regio­nali del 2010 ne sono scom­parsi più di trecentomila.

Una brutta e peri­co­lo­sa­mente repen­tina cura dima­grante per l’osannato par­tito ren­ziano. Più in gene­rale, una vera e pro­pria grande fuga dalle urne nella roc­ca­forte della par­te­ci­pa­zione elet­to­rale e del con­senso al Pd. Al dun­que l’Emilia Roma­gna avrà un pre­si­dente regio­nale votato dal 49 per cento del 37 per cento degli emi­liani roma­gnoli: quindi il 18 per cento degli aventi diritto al voto.

In sostanza quel roboante 45 per cento del Pd e quel 49 del can­di­dato, alla luce dei voti reali si pre­sen­tano per quel che sono: per­cen­tuali ingan­ne­voli anche se non rie­scono ad occul­tare la sfi­du­cia nella par­te­ci­pa­zione spia della crisi ver­ti­cale della rap­pre­sen­tanza. Che col­pi­sce a fondo un par­tito in crisi di mili­tanza e orfano di cen­ti­naia di migliaia di iscritti.

Sem­bra pas­sata un’eternità dal voto euro­peo che aveva fatto gri­dare al “mira­colo”, ben­ché in ter­mini asso­luti il Pd avesse perso un milione tondo di voti rispetto a quelli gua­da­gnati dalla segre­te­ria di Wal­ter Vel­troni.
Si può vedere il bic­chiere mezzo pieno, come fa Renzi, o mezzo vuoto. Un dato è chiaro: il rifiuto delle urne. Che in Emi­lia Roma­gna ha una sua spe­ci­fi­cità locale: le dimis­sioni per abuso d’ufficio del pre­si­dente uscente; le spese pazze dei con­si­glieri e l’indagine giu­di­zia­ria a ridosso delle ele­zioni; lo scarso appeal elet­to­rale e di imma­gine del can­di­dato del Pd alla carica di gover­na­tore; le pri­ma­rie per finta; il forte calo degli iscritti ad un par­tito che faceva della mili­tanza una ragion d’essere.

Se a tutto que­sto aggiun­giamo l’effetto Renzi — sta­volta in nega­tivo — non c’è da stu­pirsi più di tanto del risul­tato. Anche se non per que­sto si può soste­nere che il pre­mier è oggi mino­ranza del paese. Per poter com­pren­dere e giu­di­care serve una tor­nata elet­to­rale ben più consistente.

Da que­sta appena con­clusa arri­vano segnali molto forti. Non sem­pre lim­pidi. Se in Emi­lia Roma­gna si vota meno che in Cala­bria, non per que­sto il capo­vol­gi­mento della clas­si­fica dell’affluenza elet­to­rale signi­fica riscatto del Sud, visto l’invito dell’ex gover­na­tore Sco­pel­liti — inqui­sito e dimis­sio­na­rio — a votare per il can­di­dato del cen­tro­si­ni­stra e la discu­ti­bile com­po­si­zione delle liste.

Comun­que se è vero che non si tratta di una scon­fitta tout-court di Renzi, è altret­tanto chiaro che nes­suno può esul­tare. Per­ciò suo­nano un po’ pate­ti­che le rea­zioni degli espo­nenti del cer­chio magico di via del Naza­reno — come quelle della bal­dan­zosa Ser­rac­chiani — che met­tono in risalto «il Pd oltre il qua­ranta per cento». Parole che ten­dono ad esor­ciz­zare una crisi di demo­cra­zia e di par­te­ci­pa­zione pre­oc­cu­panti, una defe­zione di massa dal par­tito pro­prio là dove il suo cuore batte più forte. Un cuore pom­pato da arte­rie fon­da­men­tali, come i sin­da­cati, le coo­pe­ra­tive, con­tro cui Renzi si è sca­gliato con un risen­ti­mento degno di miglior causa.

Per que­sti motivi le oppo­si­zioni interne e quelle sin­da­cali coglie­ranno la palla al balzo per chie­dere una auto­cri­tica nella gestione del par­tito e nella poli­tica del governo, ricon­du­ci­bili alle deci­sioni e i com­por­ta­menti di una sola per­sona, Renzi. Se volesse dimo­strare di essere un lea­der di sini­stra, come pure è tor­nato a ripe­tere nella let­tera a Repub­blica, il presidente-segretario avrebbe una buona, ottima occa­sione per dimo­strarlo. Rico­no­scendo i pro­pri errori, mostran­dosi meno arro­gante, dando segnali di volontà di dia­logo, non di scon­tro. Non credo che que­sto avverrà, come del resto già risulta già dal suo com­mento al voto («affluenza pro­blema secon­da­rio»). Un atteg­gia­mento di sot­to­va­lu­ta­zione, di attacco ai soliti gufi inca­paci di rico­no­scere la vit­to­ria di due gover­na­tori a zero, in realtà un tono difen­sivo di chi mini­mizza il colpo con­fer­mando un pen­siero da per­fetto qualunquista.

Tutti gli altri risul­tati elet­to­rali, dal rad­dop­pio leghi­sta al dimez­za­mento di Forza Ita­lia, al ridi­men­sio­na­mento dei 5Stelle (in que­ste pro­por­zioni se com­mi­su­rati alle ele­zioni euro­pee), sono anch’essi gra­vidi di segnali sui pos­si­bili svi­luppi futuri della scena poli­tica italiana.

Di sicuro il centro-destra, se si volesse ragio­nare in ter­mini gene­rali, appare fran­tu­mato, debole. Con un Ber­lu­sconi ormai inca­pace di salire su qual­siasi pre­del­lino, c’è una buona pro­ba­bi­lità che di quei voti con­ser­va­tori ne fac­cia man bassa il gio­vane d’assalto Sal­vini, l’unico che può esul­tare dopo il voto di domenica.

E a sini­stra? Sarebbe stato auspi­ca­bile, come rea­zione alla svolta mode­rata del presidente-segretario, uno smot­ta­mento di voti. Non è stato così. Le forze unite di Sel, Rifon­da­zione e Altra Europa, alle euro­pee ave­vano rac­colto 94mila voti. Oggi, divise, ne hanno persi più di 10mila. Som­mando il 4 per cento otte­nuto dalla can­di­data della lista Tsi­pras al 3 preso dal Sel in coa­li­zione si arriva al 7 per cento. Troppo poco per poter inci­dere davvero.

Non pos­siamo sapere se l’unità avrebbe pro­dotto una per­cen­tuale a dop­pia cifra. Ma è certo che anche a sini­stra la divi­sione favo­ri­sce l’astensione. Soprat­tutto tra chi è ormai stanco di assi­stere sem­pre alla stessa replica.

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