Un paradiso fiscale in abito blu che attira clienti da tutto il mondo

by redazione | 7 Novembre 2014 9:52

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Raccontano i vecchi frequentatori delle banche e delle fiduciarie lussemburghesi che una volta per strada c’erano le macchinette tritacarte. Tedeschi, francesi, belgi e molti italiani erano clienti abituali degli studi professionali e delle finanziarie del Granducato. Poi la tecnologia si è evoluta e con essa la finanza.
Ma il Lussemburgo è sempre rimasto lì in mezzo: crocevia di grandi capitali, non sempre tracciabili né puliti, un paradiso fiscale in giacca e cravatta, ben più sofisticato ed efficiente delle «rozze» Cayman o di Panama o delle Isole Vergini Britanniche. E ben più aderente alle norme internazionali. Un sistema fiscale societario concorrenziale e una notoria riservatezza attirano «clienti» da tutto il mondo. Tant’è che il Paese di Jean-Claude Junker ha più holding che abitanti. Sono migliaia le società targate «Lux» che controllano interi gruppi industriali di altri Paesi o le loro attività in Europa, da cui poi incassano i dividendi con vantaggi fiscali enormi: Amazon, Apple, Starbucks solo per fare tre nomi al centro delle indagini per possibili trattamenti fiscali di favore e non conformi alle regole Ue.
Per stare in Italia, la Luxottica, la multinazionale fondata da Leonardo Del Vecchio, è controllata dalla lussemburghese Delfin che cinque anni fa ha chiuso un contenzioso con il Fisco versando oltre 200 milioni. Qualcuno, poi, ricorderà che la famosa scalata alla Telecom di Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti venne lanciata radunando la cordata intorno alla società Bell, sede nel Granducato. E quando vendettero Telecom alla Pirelli di Marco Tronchetti Provera fecero un’enorme plusvalenza lussemburghese. Anche in quel caso il Fisco italiano chiese il conto. Russi e cinesi oggi sono di casa negli uffici dei consulenti lussemburghesi. Il China Investment Corporation, fondo sovrano al servizio del Pcc, ha «impiantato» in totale riservatezza il suo hub societario europeo nel Paese di Henri Albert Gabriel Felix Marie Guillaume, cioè il Granduca Enrico. I bilanci della holding Land Breeze controllata da Pechino sono impressionanti: 7,3 miliardi di dollari di patrimonio, con partecipazioni anche in Indonesia, finiti in Lussemburgo.
La burocrazia è efficiente e non eccessiva, i servizi bancari sono tra i migliori al mondo, la normativa garantisce certezza nel tempo, il Fisco è gentile e le sue leggi — secondo gli esperti — sono flessibili quel tanto che basta per essere interpretate dai funzionari del Granducato. Questo è il punto: un’interpretazione forse troppo elastica e allo stesso tempo mirata, fuori dai binari comunitari, utilizzata come leva per attirare più «clienti» possibile e favorire le grandi multinazionali che portano soldi.
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