Obama vola in Asia Missione per evitare l’abbraccio Putin-Xi

by redazione | 10 Novembre 2014 8:41

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 PECHINO Barack Obama accolto coi fuochi d’artificio — si annuncia un trionfo pirotecnico — per la sua prima visita in Cina dal 2009 e la partecipazione all’Apec, il summit dei Paesi del Pacifico che, insieme, fanno più della metà del Pil mondiale e il 40% della popolazione del Pianeta: un vertice organizzato quest’anno da Pechino che ha trasformato l’evento in una celebrazione della sua potenza economica.
Per il presidente americano una preziosa occasione per riaprire l’agenda di politica estera — e sulla pagina che gli sta più a cuore, quella del «ribilanciamento» degli Usa, decisi a rafforzare il loro ruolo in Estremo Oriente e nel Sud-Est Asiatico — accantonando per qualche giorno le amarezze della sconfitta elettorale. Ma Obama ha davanti a sé un percorso arduo, pieno di insidie. Nella sede multilaterale il presidente spera di poter portare avanti il Tpp, il negoziato per un’alleanza di libero scambio coi Paesi asiatici alleati che esclude la Cina: tre anni di trattative ma traguardo ancora lontano soprattutto perché il Congresso di Washington non ha dato alla Casa Bianca i poteri necessari per siglare un patto vincolante.
La vittoria parlamentare dei repubblicani, più aperti al «free trade» dei democratici, potrebbe sbloccare la situazione, ma intanto la Cina fa le sue contromosse organizzando alleanze alternative, fondando a Pechino una banca per il finanziamento delle grandi infrastrutture in Asia e cementando con un accordo di forniture energetiche da 400 miliardi di dollari la nuova intesa tra due presidenti — Xi Jinping e Vladimir Putin — che mostrano di capirsi molto bene: hanno tutti e due una cultura politica che si è formata in un ambito militare — tra tensioni con l’Occidente per le loro pretese territoriali, dispute sui diritti civili e progetti d’investimento condivisi — hanno scoperto di avere molti interessi comuni.
Obama schiacciato tra il dragone cinese e l’orso russo? E’ un rischio: Putin, sotto pressione per l’aggressione all’Ucraina, è sempre tentato di reagire con sfrontatezza. Quando ha un palcoscenico internazionale, ostenta ostilità e sarcasmo verso gli Usa. Ma la vera partita politica stavolta Obama se la gioca con Xi che, da buon padrone di casa, lo accoglierà con cortesia, ostentando spirito di collaborazione. Ma, dietro la cortina del garbo diplomatico, il confronto sarà duro: dal loro ultimo incontro, un anno e mezzo fa in California, il presidente Usa si è molto indebolito, mentre Xi, allora appena insediato, ha conquistato un potere quasi assoluto a Pechino usando una retorica populista e cavalcando il nazionalismo.
Nonostante gli enormi interessi economici comuni (562 miliardi di dollari di scambi commerciali) nell’ultimo anno le relazioni Usa-Cina si sono molto deteriorate: il divieto di volo sulle isole giapponesi rivendicate dalla Cina decretato unilateralmente da Pechino e subito violato dai B-52, i pescherecci sequestrati, una piattaforma petrolifera cinese spuntata davanti alle coste del Vietnam, ma anche una moltiplicazione degli episodi di cyberspionaggio. Una situazione pericolosa che, però, tutti e due i leader hanno interesse a non far degenerare: la Casa Bianca ha preparato con cura questa visita (missioni a Pechino di Kerry, Susan Rice e Podesta perché sono possibili progressi importanti sui temi ambientali) al termine della quale i cinesi decideranno se negoziare ancora con questo presidente o aspettare il suo successore.
Obama non rinuncia a rafforzare la presenza militare lungo la costa orientale del Pacifico (in Australia pronuncerà un discorso sul ruolo dell’America in questa parte del mondo) ma vuole evitare che le frizioni inevitabili tra la superpotenza e una potenza emergente sfocino in una nuova «guerra fredda». Questo è anche l’obiettivo di Xi e alcuni segnali recenti — meno retorica antigiapponese a Pechino, Obama prudente sulla rivolta a Hong Kong — sembrano indicare una volontà di disinnescare, o contenere, le tensioni.
Massimo Gaggi
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