Obama silura il capo del Pentagono

Obama silura il capo del Pentagono

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NEW YORK «Chuck Hagel è stato uno straordinario ministro della Difesa, il primo a ricoprire quella posizione dopo aver combattuto una guerra: un uomo che si è battuto nel fango del Vietnam e che quindi conosce i nostri uomini in uniforme come pochi altri». Barack Obama non ha risparmiato gli elogi ieri nel comunicare l’improvvisa decisione del capo del Pentagono, l’unico ministro repubblicano del suo gabinetto, di rassegnare le dimissioni. Il presidente si è dilungato nel racconto della sua amicizia personale con Hagel. E il ministro, visibilmente commosso, ha ringraziato il presidente e il suo vice, Joe Biden, per averlo chiamato a svolgere quello è stato l’incarico più importante della sua vita. Due cose sono mancate nella strana cerimonia di ieri alla Casa Bianca: l’accenno, anche mi- nimo, a un sorriso e una qualunque ragionevole spiegazione dei motivi che hanno spinto Hagel a rinunciare all’«incarico più importante della sua vita».
La verità è che, se non proprio licenziato, l’ex senatore del Nebraska è stato invitato a dare le dimissioni dopo che il suo rapporto con la Casa Bianca — non tanto quello personale col presidente quanto quello col team che lo circonda — si era gravemente deteriorato. Hanno pesato la scarsa efficacia dell’attività di governo di un ministro che era stato di fatto messo in un angolo dal capo di Stato Maggiore, il generale Martin Dempsey, divenuto da settimane il vero interlocutore di Obama al Pentagono, e i contrasti soprattutto sulla Siria e sul ruolo dell’Isis. C’è poi il problema più generale di un personaggio scelto per il suo profilo «pacifista» (repubblicano sì, ma oppositore dell’intervento di Bush in Iraq), che si è trovato improvvisamente a essere giudicato «inadeguato» davanti a un quadro rapidamente mutato: non più quello del ridimensionamento e dei tagli del Pentagono ma quello delle nuove responsabilità militari in Siria, Iraq e Afghanistan, oltre che della lotta contro Ebola in Africa. È dalla fine di ottobre che si parla di una crisi di fiducia della Casa Bianca non solo nei confronti di Hagel ma anche del Segretario di Stato, John Kerry, che nel suo perenne girovagare non ha portato risultati concreti né sul fronte israelo-palestinese né su quello Ucraino né, ora, nella trattativa nucleare con l’Iran. Ma non sembrava che le tensioni potessero sfociare in una risoluzione traumatica del rapporto, non in tempi così rapidi, almeno. A molti, poi, il problema di Kerry, descritto da anonimi funzionari della Casa Bianca come «un astronauta perso nello spazio, simile alla Sandra Bullock del film “Gravity”», sembrava politicamente più grave, e quindi più urgente, di quello di Hagel.
Che, però, ha accelerato la sua caduta con alcune sortite risultate fatali. Ha scoperto all’improvviso la gravità della minaccia dell’Isis, presentando lo Stato islamico come un pericolo mortale anche per l’America poco dopo che Obama l’aveva liquidato come un’organizzazione terroristica della lega dei dilettanti (il football dei college contrapposto a quello dei professionisti della Nfl). Il malumore della Casa Bianca è aumentato quando il ministro ha detto che l’indebolimento dell’apparato bellico Usa preoccupava molto lui, i militari e anche altri, dimenticando, però, di inserire nell’elenco il presidente. Infine la reazione furibonda di Susan Rice, il capo del Consiglio per la Sicurezza nazionale, quando una lettera nella quale Hagel accusava la Casa Bianca di non avere più una posizione netta di condanna del sanguinario regime siriano di Assad, era finita sui giornali. A quel punto anche Obama si è convinto della necessità di sostituire un ministro col quale, nonostante la vecchia amicizia, il rapporto di fiducia era ormai compromesso. Chi lo sostituirà? Obama non ha ancora scelto, ma si sa che non vuole personaggi troppo indipendenti o di alto profilo.
Tra i nomi più gettonati l’ex vicesegretario alla Difesa Michèle Flournoy (sarebbe la prima donna a capo del Pentagono) Ashton Carter, un altro ex viceministro e Jack Reed, un senatore democratico con un passato nell’82esima divisione aviotrasportata dell’esercito.


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