I fiumi di parole sui giornali e nei talk show hanno spinto il capo dello Stato Reuven Rivlin a dire la propria sulla legge che tanto sta a cuore al premier. Il successore di Shimon Peres — ex avvocato, giurista ed ex presidente della Knesset — ha scelto un forum di magistrati per denunciare che la «nuova legge non rafforzerà lo Stato ebraico di Israele ma anzi lo indebolirà». Gli israeliani, ha detto il presidente, hanno una gloriosa casa nazionale, parlano ebraico e producono una ricca cultura nella propria lingua, le festività ebraiche sono celebrate in pubblico, la bandiera con la Stella di David e l’inno nazionale sono chiaramente presenti negli eventi sportivi mondiali, il simbolo dello Stato è sul passaporto di tutti gli israeliani. «E allora perché questa legge superflua e dannosa?» che è contro la visione di uguaglianza con i cittadini arabi dei padri fondatori, si è chiesto il presidente; «Israele è già di fatto lo Stato nazione del popolo ebraico».
Su questa legge si gioca la sopravvivenza del governo. “Netanyahu contro lo Stato di Israele”, titolava ieri Yedioth Ahronoth, accusando il premier di pensare solo alla sua sopravvivenza politica. La legge, spiega il giornale, è il ticket che il premier deve pagare alla destra ultrà del Likud se vuole ottenere ancora la nomination alle primarie di gennaio, in vista del sicuro voto anticipato. Lo scontro nell’Esecutivo è al vetriolo. Yair Lapid, ministro del Tesoro e capo dei centristi di “Yesh Atid” giudica che pure il capo storico della destra israeliana «Menachem Begin si sentirebbe fuori posto dentro questo Likud». Non meno tenera la signora Tzipi Livni, ministro della Giustizia che a Repubblica sintetizza così lo scontro: «E’ una lotta fra sionisti che sostengono la democrazia e i membri estremisti di un Tea-Party israeliano che vogliono uno Stato religioso ebraico che si nasconde e si isola, uno Stato che alla fine è anti- sionista e anti-democratico».
Il disagio del presidente Rivlin, uomo di destra e da sempre nel Likud, è condiviso giuristi come il Procuratore Generale Yehuda Weinstein che ha definito la legge in contrasto con gli intenti della dichiarazione di indipendenza (Israele non ha una Costituzione) e con i principi democratici dello Stato.
Non è un giurista né un politico Mahmoud Seif, è lo zio del poliziotto ucciso nella sparatoria alla Sinagoga la scorsa settimana. «Mio nipote – dice – è caduto in battaglia contro i terroristi e prima, come tutti i drusi, ha fatto il servizio militare nell’Esercito e adesso perché deve passare una legge che mette la nostra lealtà in dubbio?».