L’ex spia latitante su Mori «Vicino alla destra eversiva»

L’ex spia latitante su Mori «Vicino alla destra eversiva»

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Una mattinata d’interrogatorio nel caldo primaverile del Sudafrica, a Johannesburg, davanti a un giudice del distretto di Randburg, per interrogare l’ex generale del servizio segreto militare Gian Adelio Maletti, 93 anni, un pezzo di storia della strategia della tensione in Italia. L’indagine mai chiusa sulla cosiddetta trattativa fra lo Stato e la mafia approda sull’ultimo lembo di terra prima dell’Antartide per scavare su fatti di oltre quarant’anni fa, le presunte «relazioni pericolose» con la destra eversiva di un altro generale in pensione, Mario Mori, già capo del Ros dei carabinieri e del Sisde, oggi imputato in due processi: quello sulla trattativa, appunto, e quello per la mancata cattura di Provenzano nel 1995, in appello dopo l’assoluzione di primo grado.
Per l’Italia Maletti è ufficialmente latitante, condannato per falso nel processo sulla strage di piazza Fontana e per sottrazione di documenti coperti da segreto; eppure vive tranquillamente nel Paese che gli ha concesso una seconda cittadinanza e ancora deve decidere sulla richiesta di estradizione avanzata di Roma.
Cinque anni fa il presidente della Repubblica Napolitano gli negò la grazia su suggerimento del suo consigliere giuridico di allora, Loris D’Ambrosio, morto d’infarto due anni dopo le polemiche seguite alla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche tra lui e l’ex ministro Nicola Mancino, nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa.
In questa veste un po’ particolare Maletti è stato ascoltato ieri come testimone dai pubblici ministeri palermitani Vittorio Teresi, Francesco Bel Bene e Roberto Tartaglia, in trasferta a Johannesburg; assistito dal suo avvocato italiano, Michele Gentiloni Silveri, poiché doveva rispondere su vicende connesse a una nuova richiesta di revisione dell’ultima condanna «atteso il decesso del senatore Giulio Andreotti, l’uomo politico che più di tutti ha ostacolato il riconoscimento della mia innocenza».
L’obiettivo dei pm, dopo lunghe ricerche negli archivi dei Servizi e tra le carte dei vecchi processi, è fare luce sul passato di Mori, a loro avviso non così trasparente come hanno sostenuto i giudici che finora l’hanno assolto. L’ex comandante del Ros prestò servizio al Sid fra il 1972 e il 1975, legato al generale Vito Miceli (anche lui coinvolto e arrestato nelle indagini sulle «trame nere»), all’epoca direttore del Servizio e in aperto contrasto con Maletti, che dirigeva il Reparto D, quello del controspionaggio.
Ancora oggi Maletti rivendica la sua contrapposizione a Miceli e ai pm di Palermo ha confermato che Mori era vicino al direttore tramite il colonnello Marzollo. Nel 1975 fu proprio Maletti a ordinare l’improvviso allontanamento di Mori dal Sid e il suo rientro nell’Arma (dopo aver sottoscritto una nota di «eccellenza» solo pochi mesi prima), con divieto di impiego a Roma fino alla fine del processo sul golpe Borghese.
Tra i ricordi di Maletti — non più lucidissimi per sua stessa ammissione, vista l’età e il tempo trascorso — c’è una sorta di contiguità, evidentemente ritenuta eccessiva persino nel Sid di quella stagione, di Mori con la destra eversiva.
Al testimone i pm hanno illustrato il documento di una fonte del Sid relativo all’attività del gruppo Marzolla- Mori -Ghiron (vicino ai neofascisti dell’epoca, fratello dell’avvocato Giorgio Ghiron, legato a Mori, poi difensore dell’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino e in seguito condannato per riciclaggio dei soldi di «don Vito») per ostacolare le attività del Reparto D guidato da Maletti sulla destra eversiva. L’ex generale ha risposto di non averne mai avuto conoscenza, tuttavia secondo lui il problema esisteva. E se Mori fu mandato via con la clausola di restare lontano dalla sede del processo Borghese è perché — ha riferito — doveva essere emerso qualche elemento concreto, non solo discorsi generici sui legami «notori» tra Mori e l’estrema destra.
Quanto ai rapporti tra Sid e mafia, l’ex capo del reparto D ha ricordato che il capocentro del controspionaggio nei primi anni Settanta, il colonnello Bonaventura, era considerato molto legato ad ambienti di Cosa nostra, oltre che a Miceli. Per questo, sostiene Maletti, cioè per non farlo arrivare a una spia così compromessa, lui sottrasse il fascicolo riservato a causa del quale fu poi condannato a 14 anni di carcere.
Nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia entrano così i postumi della guerra intestina al Sid in un’epoca piena di ombre, malefatte e misteri. E la testimonianza di Maletti, che probabilmente i pm introdurranno nei processi in corso, sembra ispirata anche a tentativi di autodifesa, visto che l’accusa rivolta ad altri di voler proteggere l’estrema destra arriva da un ex agente segreto responsabile della fuga di due inquisiti vicini ai «neri» coinvolti nella strage di piazza Fontana.



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