Kailash Satyarthi. Il sorriso del Nobel arrabbiato «Salvo i bambini, senza violenza»
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Londra Nel suo primo selfie, che ha diffuso su Twitter pochi giorni fa, Kailash Satyarthi appare davanti a un mare di bambine dall’aspetto vittorioso: con il suo aiuto, hanno bandito i matrimoni di minorenni e il lavoro infantile dal loro villaggio in Rajasthan. Il 10 dicembre questo attivista indiano sessantenne con il kurta e la barba incolta riceverà il premio Nobel per la Pace. Nella prima intervista a un giornale italiano dopo l’annuncio, dice al Corriere con un sorriso disarmante: «Io sono sempre arrabbiato. Ma la mia rabbia non è mai sfociata nella distruzione, nella violenza: la tengo viva per trovare soluzioni a un problema inaccettabile». La schiavitù infantile.
Benché pochi conoscano il suo nome, a differenza di quello dell’adolescente pachistana (Malala) che condividerà il premio con lui, Kailash lotta da tre decenni contro la schiavitù infantile. Ha abbandonato prima il nome da bramino e poi la carriera da ingegnere, per liberare (finora) 84.000 bambini, in parte guidando «blitz» di attivisti nelle miniere, nelle fabbriche di mattoni, nei bordelli, nei circhi. Due suoi compagni sono stati uccisi, lui è stato chiamato «spia» e «nemico della nazione» e gli hanno rotto più volte le ossa. A chi gli consiglia di proteggersi, replica: «Se girassi con la pistola, arriverebbero con un AK-47. Non posso competere nella violenza, ma posso nella verità e nella moralità».
Lo incontriamo a Londra, alla conferenza Trust Women della Fondazione Thomson Reuters , dove ha lanciato una nuova campagna intitolata «End Child Slavery Week». Nonostante sia illegale, ci sono 35 milioni di schiavi nel mondo (la metà in India) e 5,5 milioni sono bambini.
Il primo blitz di Kailash risale al 1981. «Pubblicavo un giornale bisettimanale in hindi dedicato alle storie invisibili dei bambini e delle donne. Un giorno, un uomo anziano venne da me. Si chiamava Wasal Khan. Lui e la moglie lavoravano in una fabbrica di mattoni e avevano una figlia di 15 anni, Sabo. Il proprietario possedeva queste persone, poteva farne ciò che voleva, e voleva vendere Sabo a un bordello. L’uomo era scappato per cercare aiuto. E mentre scrivevo quel che diceva, capii che per pubblicare la storia ci sarebbe voluto un mese e sarebbe stato troppo tardi. Io e i miei amici affittammo un furgone per andare a salvare Sabo, ignorando quell’uomo che avvertiva “Vi ammazzeranno!” Arrivati sul posto, cominciammo a far salire la gente, finché non arrivò il proprietario con le guardie: ci picchiarono, ci strapparono i vestiti. Siamo scappati a piedi nudi. Ma non mi sono arreso, sono andato in tribunale e con l’aiuto della legge abbiamo salvato quelle persone». E’ nato così a New Delhi «Bachpan Bachao Andolan», il Movimento per salvare l’infanzia. I blitz continuano: «A volte coinvolgiamo la polizia, ma è rischioso perché di solito è corrotta, per cui quando arriviamo non troviamo i bambini oppure troviamo i mafiosi pronti ad attaccarci». Nel 1998 Kailash ha organizzato la Marcia Globale contro la Schiavitù in 140 Paesi. «In Italia abbiamo lavorato con Cgil e Cisl, hanno spinto anche loro per ottenere la nuova convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro».
La sua rabbia è esplosa a 15 anni. Era il 1969 e il suo nome allora era Kailash Sharma. «L’India festeggiava il centenario della nascita del Mahatma Gandhi, i politici parlavano contro il sistema delle caste e mi ispirarono così tanto che decisi di organizzare una festa. Io e i miei amici comprammo riso e patate, invitammo le donne “intoccabili” a cucinare e i politici a mangiare, ma nessuno si presentò: né i cosiddetti gandhiani, né i comunisti. Ma quella sera, a casa, trovai i sacerdoti e i bramini furiosi e mia madre in lacrime perché avevo disonorato tutti. Volevano che mi purificassi nel Gange e lavassi loro i piedi ma io dissi di no, perché non avevo commesso alcun crimine. Mi dichiararono un fuori casta. Per mia madre è stato difficile, non potevo nemmeno mangiare con la famiglia in cucina. Quella notte non chiusi occhio: ero arrabbiato. Il giorno dopo ho abbandonato il nome di casta. E qualche anno dopo ho scelto quello nuovo che vuol dire: “colui che cerca la verità”». Malala gli ha chiesto di invitare il premier indiano alla cerimonia del Nobel — lei inviterà quello pachistano, come gesto di pace tra i due Paesi. Ma Kailash non crede molto nei politici. «Combatto anche in Pakistan, da prima che Malala nascesse. Non sono un politico né una star. Credo nell’amicizia tra i popoli e continuerò a lavorare per questo». Spiega che ci sono tanti fattori alla radice della schiavitù infantile: «La mentalità, la latitanza dei politici, la mancanza di rispetto per l’infanzia, la povertà e l’analfabetismo dei genitori, la richiesta di forza lavoro a basso prezzo. Ma io credo che l’apatia diffusa nella società sia il problema più grosso». Una volta una bambina di 6 anni, appena salvata dalla schiavitù, lo ha guardato e gli ha detto: perché non sei venuto prima?. «Non era solo una domanda rivolta a me, ma a tutti quanti noi».
Viviana Mazza
Lo incontriamo a Londra, alla conferenza Trust Women della Fondazione Thomson Reuters , dove ha lanciato una nuova campagna intitolata «End Child Slavery Week». Nonostante sia illegale, ci sono 35 milioni di schiavi nel mondo (la metà in India) e 5,5 milioni sono bambini.
Il primo blitz di Kailash risale al 1981. «Pubblicavo un giornale bisettimanale in hindi dedicato alle storie invisibili dei bambini e delle donne. Un giorno, un uomo anziano venne da me. Si chiamava Wasal Khan. Lui e la moglie lavoravano in una fabbrica di mattoni e avevano una figlia di 15 anni, Sabo. Il proprietario possedeva queste persone, poteva farne ciò che voleva, e voleva vendere Sabo a un bordello. L’uomo era scappato per cercare aiuto. E mentre scrivevo quel che diceva, capii che per pubblicare la storia ci sarebbe voluto un mese e sarebbe stato troppo tardi. Io e i miei amici affittammo un furgone per andare a salvare Sabo, ignorando quell’uomo che avvertiva “Vi ammazzeranno!” Arrivati sul posto, cominciammo a far salire la gente, finché non arrivò il proprietario con le guardie: ci picchiarono, ci strapparono i vestiti. Siamo scappati a piedi nudi. Ma non mi sono arreso, sono andato in tribunale e con l’aiuto della legge abbiamo salvato quelle persone». E’ nato così a New Delhi «Bachpan Bachao Andolan», il Movimento per salvare l’infanzia. I blitz continuano: «A volte coinvolgiamo la polizia, ma è rischioso perché di solito è corrotta, per cui quando arriviamo non troviamo i bambini oppure troviamo i mafiosi pronti ad attaccarci». Nel 1998 Kailash ha organizzato la Marcia Globale contro la Schiavitù in 140 Paesi. «In Italia abbiamo lavorato con Cgil e Cisl, hanno spinto anche loro per ottenere la nuova convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro».
La sua rabbia è esplosa a 15 anni. Era il 1969 e il suo nome allora era Kailash Sharma. «L’India festeggiava il centenario della nascita del Mahatma Gandhi, i politici parlavano contro il sistema delle caste e mi ispirarono così tanto che decisi di organizzare una festa. Io e i miei amici comprammo riso e patate, invitammo le donne “intoccabili” a cucinare e i politici a mangiare, ma nessuno si presentò: né i cosiddetti gandhiani, né i comunisti. Ma quella sera, a casa, trovai i sacerdoti e i bramini furiosi e mia madre in lacrime perché avevo disonorato tutti. Volevano che mi purificassi nel Gange e lavassi loro i piedi ma io dissi di no, perché non avevo commesso alcun crimine. Mi dichiararono un fuori casta. Per mia madre è stato difficile, non potevo nemmeno mangiare con la famiglia in cucina. Quella notte non chiusi occhio: ero arrabbiato. Il giorno dopo ho abbandonato il nome di casta. E qualche anno dopo ho scelto quello nuovo che vuol dire: “colui che cerca la verità”». Malala gli ha chiesto di invitare il premier indiano alla cerimonia del Nobel — lei inviterà quello pachistano, come gesto di pace tra i due Paesi. Ma Kailash non crede molto nei politici. «Combatto anche in Pakistan, da prima che Malala nascesse. Non sono un politico né una star. Credo nell’amicizia tra i popoli e continuerò a lavorare per questo». Spiega che ci sono tanti fattori alla radice della schiavitù infantile: «La mentalità, la latitanza dei politici, la mancanza di rispetto per l’infanzia, la povertà e l’analfabetismo dei genitori, la richiesta di forza lavoro a basso prezzo. Ma io credo che l’apatia diffusa nella società sia il problema più grosso». Una volta una bambina di 6 anni, appena salvata dalla schiavitù, lo ha guardato e gli ha detto: perché non sei venuto prima?. «Non era solo una domanda rivolta a me, ma a tutti quanti noi».
Viviana Mazza
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