Lo abbiamo intervistato a Roma, dove si trovava per una serie di seminari e conferenze. Qualche mese fa è uscito ultimo libro The end of normal, di prossima pubblicazione anche in Italia.
Dopo otto anni di crisi emergono segnali contraddittori: negli Usa gli elettori hanno garantito al partito repubblicano la maggioranza anche al Senato, mentre all’interno dell’Ue si allargano i fronti della protesta.
Negli Usa ci sono diversi fattori che hanno contribuito al cambio di orientamento politico degli elettori. La prima è la normale reazione verso l’amministrazione in carica. La stessa cosa è accaduta all’amministrazione Bush nel 2006, e nella storia politica americana si trovano soltanto una manciata di eccezioni a questa tendenza. Il secondo fattore è senza dubbio la generale diminuzione dell’affluenza alle urne nelle elezioni di medio termine. Questo vale in particolare per i meno abbienti e le minoranze, mentre la partecipazione degli elettori bianchi adulti, il cuore dell’elettorato repubblicano, rimane costante. Terzo, sono state introdotte di recente restrizioni alle regole sulle procedure di voto che scoraggiano la partecipazione alle urne. Quarto, molti senatori che sarebbero stati rieletti sono andati in pensione, ad esempio in Iowa e Michigan. Tutti questi elementi suggeriscono che non stiamo assistendo a un fenomeno di lungo periodo quanto piuttosto a un evento contingente che non avrà necessariamente influenza sulle elezioni presidenziali del 2016. Spostandoci in Europa, si può notare che mentre nel Nord c’è essenzialmente uno spostamento verso destra in termini di politica economica, nel Sud dell’Europa — in Italia, ma sicuramente presto anche in Grecia e Spagna — cresce il consenso verso il rigetto delle politiche di austerità e verso un’interpretazione maggiormente sensibile e legalmente corretta dei trattati europei. Se i paesi del Sud Europa saranno in grado di costruire una visione politica comune coerente da opporre alla visione del blocco dei paesi del Nord, assisteremo a un dibattito dai risultati imprevedibili.
A proposito di politiche monetarie espansive, pensa che il presidente della Bce Mario Draghi riuscirà a prevalere sulle posizioni tedesche?
Il quantitative easing di Draghi prevede di finanziare un piano di investimenti attraverso l’acquisto di titoli della Bei. Se Draghi riuscirà ad attuare questo piano espansivo mantenendo il prezzo dei titoli dell’istituto alto e il loro rendimento basso, penso che non ci saranno obiezioni da parte tedesca. Le obiezioni sarebbero di certo sull’acquisto diretto di titoli di stato da parte della Bce, ma non penso ci saranno obiezioni se la Bce acquisterà titoli della Bei.
Pensa che la crisi che attraversa l’Europa sia un momento di transizione del welfare state europeo verso un modello simile al sistema americano?
Dobbiamo riconoscere che dall’inizio della crisi economica il sistema di welfare state americano ha funzionato in generale molto meglio di quello europeo. La ragione risiede nel fatto che noi abbiamo un sostanziale sistema di trasferimenti fiscali a livello federale verso individui e famiglie, come anche un sistema di trasferimenti fiscali del governo centrale verso i singoli governi di ogni stato. Il reddito perso a causa della crisi, in particolare dalle fasce di reddito più deboli, è stato sostituto da una serie di misure come assicurazioni sulla disoccupazione, politiche sociali che includevano assistenza nutrizionale e sanitaria, assicurazioni sulla disabilità e più in generale un aumento della spesa pubblica per l’assistenza medica. Oggi i paesi del sud Europa sono ancora in crisi, mentre gli Stati Uniti per lo più no. Gli europei devono rendersi conto che anche negli Stati uniti esiste un sistema di welfare state e che, al contrario dell’Europa, è molto flessibile. Questa flessibilità ha permesso una rapida ripresa economica. Se i paesi europei abbandonano l’idea di avere un sistema di welfare comprensivo, cosa che in parte è già avvenuta, si avvieranno verso il disastro economico. È fondamentale quindi che i paesi capiscano che per uscire dalla crisi occorre estendere la solidarietà su tutto il territorio europeo. Non può essere solo per francesi, tedeschi o danesi ma deve essere equamente accessibile anche ai cittadini del Sud Europa.
Abbiamo visto con quale difficoltà gli aiuti finanziari sono stati garantiti alla Grecia, e come gran parte dei media conservatori, in Germania ad esempio, hanno ritratto i cittadini del sud Europa. Come sarà possibile parlare di solidarietà in Europa?
Guardiamo proprio al caso tedesco. I tedeschi hanno capito bene l’importanza e il significato della solidarietà nel secondo dopoguerra, quando la ripresa economica della Germania Federale è stata possibile proprio grazie alla solidarietà ricevuta dagli Stati Uniti e da quelli che sarebbero diventati i futuri partner europei. La ripresa economica dopo l’unificazione è stata basata proprio sull’espansione della solidarietà ai cittadini della Germania Est. Questa tradizione è molto forte e non è una sorpresa che i media stiano cercando di interromperla. Deve essere il governo tedesco a presentare una forte alternativa all’immagine che propongono i media, proprio basata sulla solidarietà.
Che cosa pensa della moneta unica e della governance monetaria che i paesi europei hanno costruito?
La crisi economica è globale. Il suo effetto in Europa è stato amplificato dalle carenze delle istituzioni economiche e dall’ideologia che le governa. Negli Stati Uniti le istituzioni economiche sono figlie del New Deal e di Keynes, con un’attenzione fortissima agli aspetti sociali dell’economia. Negli anni queste istituzioni sono state indebolite, ma non sono scomparse. Se guardiamo al mandato della Banca Centrale negli Stati Uniti notiamo che ci sono due elementi principali: il pieno impiego e stabilità dei prezzi. In Europa l’obiettivo della Bce è la stabilità dei prezzi. Un non senso totale, fuori da ogni logica. I trattati dell’Unione europea sono stati scritti negli anni Settanta e Ottanta, quando quelle idee erano fortemente di moda.
Ci sono movimenti che promuovono l’uscita dalla moneta unica. Sarebbe la scelta giusta?
Assolutamente no. L’Italia è uno dei membri fondatori del progetto europeo ed è una delle economie più forti dell’area. Anche greci, spagnoli e portoghesi credono al progetto europeo. La grande strategia, come del resto la grande sfida per la sinistra del sud Europa, sarà cambiare l’Europa, non distruggerla.