Di fronte all’aggravarsi della crisi economica, uno sguardo ai movimenti di protesta che lottano contro l’austerità offre l’immagine di un’Europa a due velocità. Un’espressione abusata da economisti e politologi, per parlare dei diversi livelli di produttività economica e integrazione politica dei paesi europei, ma che cattura bene la distanza tra paesi in cui i movimenti di protesta hanno conquistato il consenso della maggioranza della popolazione, e altri in cui continuano a rinserrarsi in uno spazio minoritario.
Da un lato ci sono Spagna e Grecia, che a partire dall’ondata del 2011, hanno assistito a una traiettoria impressionante di mobilitazioni cittadine, e in cui la forza dei movimenti sta soffiando vento nelle vele dei partiti di sinistra, come il neonato Podemos in Spagna e la rimaneggiata Syriza in Grecia, che adesso si giocano la possibilità di conquistare il governo. Dall’altro lato ci sono una serie di paesi come Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna, dove se le manifestazioni di protesta contro l’austerità non mancano, sono ben lontane da conquistare quell’appoggio maggioritario, guadagnato dagli Indignados in Spagna e dagli aganaktismenoi in Grecia.
La Spagna è fuor di dubbio il paese guida nella classifica della produttività di movimento negli ultimi anni in Europa. A partire dalla nascita degli indignados nel maggio 2011, il paese ha vissuto un livello spasmodico di mobilitazioni di protesta. Dalle “maree cittadine” contro i tagli del governo alla campagna contro gli sgomberi abitativi, fino a una fioritura di associazioni, media alternativi e campagne legali dal basso contro i politici corrotti. È in questo contesto di impressionante forza dei movimenti sociali che bisogna leggere la spettacolare crescita di Podemos, ora primo partito secondo i sondaggi, come pure il dispiegarsi di iniziative municipaliste, come Ganemos a Madrid, e Guanyem a Barcellona, liste civiche partecipative, attraverso cui i movimenti puntano a conquistare direttamente i governi locali, senza la mediazione di alcun partito.
La Grecia segue a ruota. Dopo le accampate degli aganaktismenoi («indignati» in greco), il paese ha visto la nascita di varie iniziative di protesta contro i tagli alla spesa pubblica, nuove forme di associazionismo locale, campagne di solidarietà con i migranti e occupazioni di fabbriche. Il rapporto del movimento con Syriza è più problematico di quello degli indignados con Podemos, dato che Syriza è un partito più classico e più burocratico. Ma anche in questo caso la ragione della crescita elettorale del partito di Alexis Tsipras, dato come vincente in probabili elezioni anticipate nel 2015, è il risultato del vasto consenso che i movimenti hanno saputo creare in un paese massacrato dalle politica di austerità.
A larga distanza seguono tutti gli altri paesi europei, in cui o i “movimenti delle piazze” sono morti nella culla, come è successo in Italia con la débacle del 15 ottobre 2011, o hanno fatto appena capolino, come in Gran Bretagna dove il movimento Occupy è stato molto più debole rispetto ai cugini statunitensi. Certo, segnali di attività anche in questi paesi non mancano. In Italia la forza del movimento per la casa, la grande partecipazione nella manifestazione della Cgil del 25 ottobre e nello sciopero sociale del 14 novembre offrono qualche speranza. In Germania, Blockupy, un gruppo che ha lanciato diverse proteste contro la Banca centrale europea, promette di guastare la festa per l’inaugurazione della nuova sede della Bce a Francoforte. In Gran Bretagna, la People’s Assembly negli ultimi anni ha ricomposto il fronte della sinistra contro l’austerità. In Francia, già «paese classico della lotta di classe» secondo Marx, testimone in anni recenti di importanti mobilitazioni come quella del 2006 contro il Cpe, i movimenti contro la crisi economica si sono dimostrati sorprendentemente deboli, anche se negli ultimi giorni una mobilitazione sindacale ha preso di mira i tagli al bilancio ordinati da un deludente Francois Hollande.
Quello che continua a mancare in questi paesi, anche in quelli in cui i movimenti di protesta appaiono relativamente più attivi, è quello spirito popolare, e in senso positivo populista, che ha permesso ai movimenti in Spagna e Grecia di conquistare il consenso della maggioranza della popolazione e creare le basi per una conquista del potere statale. Invece di innovare pratiche e linguaggi per capitalizzare sul dissenso crescente di ampie fasce della popolazione, in questi paesi ci si continua ad aggrappare alla tradizione, come se il 2011 non fosse mai successo. O si ricorre alle tattiche della politica antagonista in stile no-global o ci si affida al classico corteo sindacale. Pratiche che mobilitano diversi settori della sinistra organizzata, autonoma o istituzionale che essa sia, ma incapaci di guadagnare seguito nella massa dei disorganizzati e dei non rappresentati, della classe media decaduta, della classe lavoratrice immiserita, e dei nuovi poveri che costellano il paesaggio della Grande Recessione, e rischiano di diventare base di consenso per la destra.
Le ragioni per questa Europa di movimento a due velocità sono molteplici. Spagna e Grecia, i paesi guida per i movimenti anti-austerità, sono non a caso anche quelli in cui gli effetti sociali della crisi si sono fatti sentire in maniera più esplosiva, con un quarto della popolazione e metà dei giovani senza lavoro. Negli altri paesi, gli effetti della crisi si sono fatti avvertire in maniera relativamente più lenta e moderata, o perchè attutiti da uno stato sociale piu generoso come in Francia e Gran Bretagna, o per una congiuntura economica migliore come in Germania, o per il modo in cui i risparmi delle famiglie hanno temporaneamente fatto da cuscinetto al disagio sociale, come in Italia.
Tuttavia il distacco tra Spagna e Grecia e tutto il resto ha anche a che fare con questioni politiche e culturali. Come sostenuto da Lorenzo Zamponi, in Italia è stata la presenza ingombrante di gruppi organizzati ereditati dall’era no-global uno dei fattori che ha ostacolato la nascita di un movimento stile indignados. Ma per passare da un’attitudine difensiva a un’ambizione maggioritaria, in Italia come in altri paesi, è mancata pure una risorsa che è stata invece alla base della nascita degli indignados in Spagna e degli aganaktismenoi in Grecia. È una cosa riassunta dalla ambivalente parola spagnola «ilusion», spesso usata dagli attivisti iberici per spiegare lo spirito delle loro recenti mobilitazioni, che significa al tempo stesso «illusione» ed «entusiasmo» per le cose future. Quanto serve per sconfiggere la rassegnazione e inventare nuove forme di protesta all’altezza di tempi di emergenza economica e sociale.