ROMA Piovono pietre. Facebook e Twitter sprizzano indignazione, ministri e deputati parlano di «sconfitta» e «Stato malato», Ilaria Cucchi annuncia nuove battaglie: «Chiederò al procuratore Giuseppe Pignatone che assicuri alla giustizia i colpevoli della morte di mio fratello». E più tardi, dallo studio di «Che tempo che fa», su Raitre: «È stato un processo alla vittima, per cinque anni si è cercato di negare il pestaggio».
Annuncia Fabio Anselmo, l’avvocato dei Cucchi (come già degli Aldrovandi): «Oltre al ricorso in Cassazione, intraprenderemo un’azione legale nei confronti del ministero della Giustizia, perché si possa riconoscerne la responsabilità rispetto alla morte di Stefano».
Impossibile cavare risposte, commenti o repliche al procuratore capo di Roma ma una riapertura del «caso Cucchi» appare improbabile: a fronte di quali nuovi elementi? E poi il ricorso (probabile) della Procura generale? Il processo, insomma, non è ancora concluso. E forse, nel caos emotivo delle ultime ore, ci si dimentica che proprio i pubblici ministeri di piazzale Clodio avevano presentato, un anno fa, il ricorso contro l’assoluzione in primo grado degli agenti della polizia penitenziaria Nicola Domenichini e Antonio Domenici, valorizzando la testimonianza (poi liquidata dai giudici benché ritenuta attendibile) del detenuto ghanese Samura Yaia che assistette, dalla cella accanto, al pestaggio di Stefano Cucchi.
Alla Corte d’appello non va di portare la croce, ovviamente: «Basta gogna mediatica, non c’erano prove», dice il presidente Luciano Panzani, difendendo il lavoro dei suoi giudici e ricordando che, tra molte grida, si sta parlando di questioni delicate come le garanzie individuali: «Se non vi sono prove sufficienti di responsabilità individuali il giudice deve assolvere. Questo per evitare di aggiungere orrore a obbrobrio e far seguire ad una morte ingiusta la condanna di persone di cui non si ritiene provata la responsabilità».
Troppo tardi: le polemiche viaggiano, ormai, su un piano inclinato e, poi, anche garantire protezione a Stefano Cucchi era tra i doveri di chi lo aveva in custodia. Così si legge su profili Facebook e così ricorda, ad esempio, l’autore di «Gomorra», Roberto Saviano: «Stefano arrestato in buona salute, muore con il corpo martoriato dalle percosse, disidratato e denutrito: si abbia almeno la decenza di non gridare alla giustizia», è il commento dello scrittore. Sul link «CucchiUcciso2volte» si moltiplicano le condivisioni. Molti click da parte di musicisti e attori come Valerio Mastandrea, Fiorella Mannoia, il rapper Fedez. Rita Bernardini, dei Radicali, ritorna all’attacco con la legge contro il reato di tortura. Il senatore grillino Vito Crimi sottoscrive e con il collega di partito Nicola Morra attacca: «Lo Stato è malato». E ancora: «La giustizia non può lasciare senza risposte tragedie come quella di Cucchi» twitta Corrado Passera, ex ministro delle Attività produttive del governo Monti. «Triplice sconfitta di magistratura, istituzioni e civiltà di un Paese», conclude Fabrizio Cicchitto del Ncd.
«Sono senza parole per l’assoluzione» dice il sindaco di Roma Ignazio Marino che, nel 2009, presiedeva la commissione d’inchiesta del Senato sulla vicenda e che oggi è favorevole alla proposta del consigliere di Sinistra e Libertà Luca Peciola di intitolare una via al ragazzo: «Lo faremo», promette.
Ma non è così semplice, fra l’opposizione diffidente o decisamente contraria e i sindacati delle forze di polizia, ostili o bellicosi: «Ci auguriamo un dietrofront del consiglio comunale di Roma. Visto che il Campidoglio aveva negato la possibilità di una via per la Fallaci, confidiamo in una valutazione positiva per eroi veri, come Raciti (l’ispettore ucciso dagli ultrà a Catania nel 2007, ndr )», dicono, appunto, dal Sap.
Sarà una piazza, forse, ma per ora è una strada in salita.
Ilaria Sacchettoni