Non è uno scherzo, anche se il presidente del Pd Matteo Orfini lo commenta come «cretinata del mese» e il renziano Ernesto Carbone parla di pesce d’aprile fuori tempo. Il deputato del Movimento 5 stelle ha presentato un esposto alla procura di Roma per conoscere i contenuti del patto siglato tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi a gennaio 2014. «In particolare — scrive Colletti su Facebook — ho chiesto di verificare se il loro Patto sia stato preordinato a pilotare illegittimamente le riforme e a decidere chi nominare come futuro inquilino del Quirinale, trasformando la nostra Repubblica democratica in una dittatura mascherata ». Non è l’unica accusa. Nelle 31 pagine c’è di tutto: dalle presunte ingerenze del presidente della Repubblica sulla Corte Costituzionale perché abrogasse solo una parte del porcellum, a ipotetiche trattative segrete dei giudici della Consulta di cui si chiedono i tabulati telefonici, passando per una “congiura” ai danni di Roaperture mano Prodi e per uno strafalcione che vede Giuliano Amato nominato da Napolitano «presidente della Corte». Parla di «cospirazione», il deputato, chiede di verificare che non ci siano rilievi penali. E ottiene l’apertura di un fascicolo senza indicazione di reato né indagati. «Tra una settimana saprò a chi è affidato — spiega — e andrò dal pm a fargli capire che prima di archiviare deve scoprire cosa c’è dentro quell’accordo».
Al resto del Movimento non sembra vero. L’ordine arrivato dai vertici venerdì, il no ad aperture al Pd dopo il voto comune sulla Consulta, non potrebbe essere eseguito meglio. Così — mentre su Twitter si scatena l’hashtag ironico #denunciailpatto (da quello di Occhi di gatto al patto di Varsavia) — il gruppo parlamentare si stringe attorno a Colletti. La sua iniziativa finisce sul blog, e il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio ricorda di aver fatto sul tema un’interrogazione parlamentare insieme ad Alessandro Di Battista. Non si aspettava tanto clamore, Colletti, ma tant’è, i tempi sono questi. Di di credito al Pd, non è aria: «Tutte cazzate — dice il capogruppo al Senato Alberto Airola — la verità è che in Italia il Parlamento non conta più, Grasso e Boldrini dovrebbero salire al Colle a dire basta decreti, e invece perseguono noi per la battaglia in aula sullo sblocca-Italia. Quelli del Pd ci hanno usato strumentalmente per i loro ricatti. Il loro è puro marketing». Non crede di poter incidere sulla legge elettorale, il Movimento. «Su questo nessuno ci sta cercando — rivela il capogruppo alla Camera Andrea Cecconi — per la Corte, invece, l’hanno fatto eccome». Sulla presidenza della Repubblica, però, nessuno si tira indietro. Il senatore Nicola Morra propone che sia «un uomo non dei partiti, una persona semplice come il presidente dell’Uruguay Mujica, ex guerrigliero noto per la sua sobrietà». Danilo Toninelli traccia anche lui il ritratto di «una personalità equidistante dai poteri dello Stato». Il percorso «potrebbe essere una condivisione dei requisiti, e poi dei nomi, fatta da tutti in modo pubblico. Più la scelta è partecipata, migliore sarà il risultato ». Perché, denunce a parte, la partita del Colle è tutta da giocare.