Gli operai della Ast paralizzano l’Autosole il governo li convoca. “Solo così ci ascoltano”
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TERNI . Fabio si arrotola un po’ di tabacco, mentre i pezzi di carne sfrigolano sulla brace. «Siamo stati bravi oggi… ma possibile che per farci ascoltare dobbiamo paralizzare l’Italia?». Davanti a lui Matteo inzuppa il pane nel vino, addosso ha la giacca dell’acciaieria. Soddisfatto anche lui, almeno per stasera. «Sai quanto ci staremo qui? Fino a Natale, te lo dico io». Qui è il presidio dei lavoratori dell’acciaieria di Terni su viale Brin, l’ingresso principale. Ce ne sono altri tre in città. Sul diario di bordo della protesta, al giorno 22, i lavoratori hanno scritto: “occupazione dell’autostrada”. E a qualcosa quelle cinque ore sull’asfalto dell’Autosole all’altezza del casello di Orte, sono servite: la trattativa con il governo sul piano industriale della ThyssenKrupp riprenderà già oggi alle 16 e non la prossima settimana come era previsto. Una battaglia vinta, la guerra è ancora lunga.
Tra chi si è seduto sull’autostrada ieri c’era anche Fabio. Ha 32 anni, una moglie incinta disoccupata e Sofia che nascerà a gennaio. La busta paga di novembre però sarà magra. Invece dei soliti 1.500 euro, non supererà i 300. «Sono capomeccanico dell’area a freddo» . Il cognome non lo dice, nessuno te lo dice. «Non serve, noi siamo quello che facciamo là», spiega, mentre indica col dito una torre di cemento blu alta cento metri. Dentro c’è l’unico forno rimasto acceso in tutta l’acciaieria da quando è iniziato lo sciopero a oltranza dei 2.700 lavoratori, tre settimane fa. La fabbrica scorre talmente nelle vene di questi uomini e queste donne che, per dire, i turni ai presidi sono gli stessi che fanno in azienda. Otto ore ciascuno, orari stabiliti. Anche se in strada a protestare giorno e notte, a irrigidire il muscolo nel braccio di ferro che ha bloccato tutta la produzione della Thyssen di Ter ni, ci sono sì e no 400 dipendenti. «Il resto se ne sta a casa al caldo», osserva Domenico, capo manutenzione, altro senza cognome. Ha 42 anni, 20 dei quali spesi nell’area a freddo dell’acciaieria. «Non molleremo fino a quando non avremo un piano industriale credibile. Cosa vuol dire? Che ci devono assicurare che non la smantelleranno, come vogliono fare i padroni tedeschi».
Alle 10.30 di ieri mattina c’è stata un assemblea. Avevano programmato di occupare il casello di Orte il giorno dopo. «Poi però un gruppo ha deciso di farlo subito». Hanno preso le macchine e si sono fatti i 20 chilometri fino all’A1. Una carovana di 300 persone, esattamente come a lu-glio quando la Thyssen annunciò il piano industriale con i tagli da 100 milioni di euro. Ad aspettarli allo svincolo c’erano poliziotti e carabinieri. «Nessuno in assetto anti sommossa, tutto si è svolto in maniera pacifica, senza tensione », racconta Stefano Garzuglia, che un cognome ce l’ha ma solo perché è il delegato Fiom, il leader della protesta. Ha la voce roca è stanca di chi non dorme da tre giorni.
Operai e impiegati hanno occupato la carreggiata alle 12.52, in entrambi i sensi, mentre la polizia rallentava il traffico. Si sono seduti sull’asfalto, e hanno aspettato. Pioveva. Gli agenti provavano a convincerli a uscire, ma niente. «Non ce ne andiamo». Intanto la colonna di tir e automobili si allungava, dieci chilometri di fila tra Ponzano Romano e Magliana Sabina, dove venivano fatte uscire per proseguire sulla statale, otto chilometri tra Orvieto e Attigliano. E non sono mancati, naturalmente, disagi e lamentele di automobilisti e camionisti.
«Alle 17.05 ci hanno chiamato i sindacati da Roma e ci hanno detto di essere stati convocati domani pomeriggio (oggi per chi legge) al ministero dello Sviluppo economico». Conquistato il punto, il blocco si è sciolto.
Dunque la discussione sul piano industriale della Thyssen, che prevede 290 esuberi (141 sono già usciti volontariamente), ripartirà subito, ma su due tavoli separati: uno con i sindacati, l’altro con l’azienda. «Il governo non deve fare da arbitro — si arrabbia un altro Domenico, operatore della manutenzione nel settore Px1 — prenda una posizione. E’ stato Renzi a dire che l’acciaieria di Terni è strategica, no?». Dietro di lui i suoi “colleghi di linea produttiva” alimentano con la legna il fuoco che hanno acceso dentro due bidoni arrugginiti. Qualcuno ha portato una tanica di vino. Ci si scalda così. «I bar e i ristoratori ci portano da mangiare. Altrimenti scollettiamo tra noi, mettiamo i soldi e andiamo a comprare il cibo». Tutta Terni è con loro, e Domenico l’operatore di manutenzione, sa perché: «La fabbrica è nata prima della città, è come la Fiat per Torino. Possiamo accettare che ce la tolgano?». La risposta la conoscono tutti, al presidio. Ma sono rimasti in quattordici. La carne alla brace è pronta. Si mangia e si beve, per non pensare alla notte. Tra poco comincia il giorno 23.
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