«L’Italia — ha aggiunto De Rita con il buon senso che può fulminare tutti leggendo le statistiche macro-economiche — è un paese in deflazione e questo produce incertezza sul futuro e quindi un atteggiamento attendista, inducendo i consumatori a non spendere ma a risparmiare». Il banco di prova è il mercato delle auto. Carissime, sono in pochi ormai a potersele permettere. E poi i famosi risparmi di cui il Belpaese è orgogliosamente ricco. «Mentre nel 2011 i risparmi delle famiglie ammontavano a 23 miliardi di euro, oggi sono 26 miliardi».
Considerazioni opportune ma che non lasciano un’orma sul bagnasciuga della politica italiana, impegnata nell’esercizio più angoscioso dell’anno: la legge di stabilità. La maggioranza, con il Pd in testa, ha confermato che la platea non cambia e dunque l’esercizio di scuola voluto da Renzi continuerà ad essere inutile e discriminatorio rispetto a tutte le altre categorie del lavoro in Italia. A partire dai lavoratori indipendenti, i precari e le partite Iva in testa.
Lo ha confermato il viceministro all’Economia, Enrico Morando (Pd), secondo il quale «gli sgravi Irpef non si toccano perché tirando troppo il filo, la corda si spezza». La struttura dell’intervento non si può cambiare perchè «è legata al reddito individuale e non alla famiglia». Risultato: la commissione Bilancio alla Camera ha bocciato l’emendamento (primo firmatario l’ex vice ministro dell’Economia Fassina, oggi leader della minoranza Pd) che chiedeva di modulare il bonus in base alla struttura familiare. Era uno degli otto emendamenti, due dei quali sostenuti da Sel, che avevano scatenato l’altro ieri la reazione furibonda della maggioranza renziana. È passata invece la modifica del «bonus bebè» sui minori poverissimi o in povertà assoluta. Morando ha voluto così dimostrare la disponibilità del governo alla lotta contro la povertà. Con misure più vicine al pauperismo che ad una chiara visione universalistica degli effetti sociali della crisi. Quest’ultima apertura è stata colta con favore da Francesco Boccia, presidente della Bilancio alla Camera: «C’è un solo Pd, le polemiche sono strumentali» ha detto. E spera che gli altri sei emendamenti vengano accolti, a riprova di un’unità del suo partito. Unità anche sul Jobs Act, nonostante le perplessità e i ripensamenti della minoranza Pd.
Nell’esecutivo qualcuno si è però accorto dell’ingiustizia sociale degli 80 euro. È il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti (Scelta Civica), a dimostrazione che Viale XX settembre è un coro di voci non sempre accordate. Zanetti copre il fronte delle partite Iva in un governo ossessionato — come tutti quelli precedenti — a intervenire solo sul lavoro dipendente. Il sottosegretario pensava di «raccogliere applausi» per avere messo sugli autonomi 850 milioni di euro. E invece la riforma dei minimi, che triplica le tasse per le partite Iva under 35 ha trasformato il suo sogno in un incubo. Il governo rischia di accanirsi sulla platea dei nuovi poveri, colpendolo in maniera definitiva. Zanetti auspica che la norma sia cambiata alla Camera o al Senato. Se invece passasse, per Renzi sarebbe una débâcle.
Lui che punta tutto sull’innovazione, le start up e i freelance, fa un regalo alle partite Iva «affluenti», gli autonomi come i commercianti con un reddito superiore ai 40 mila euro anui, rafforza la lotta di classe contro il proletariato dei freelance e i lavoratori della conoscenza con un reddito di povertà. L’appello di Zanetti sembra un vaso di coccio nella gigantomachia in corso tra sindacati e governo sull’articolo 18. I tempi sulla legge di stabilità restano serrati. Lunedì arriverà il responso della Commissione Ue. Si valuta se concedere a Renzi le attenuanti della crisi. In cambio il Pd dovrà accelerare sulle riforme. Il modello è il Jobs Act.