Alla fine l’ha spuntata Paolo Gentiloni. Uomo dell’establishment, ex Margherita, legato fin dalla prima ora a Matteo Renzi ma senza, finora, la sua arroganza. Dopo l’avventura della Mogherini finita nel vuoto di Mister Pesc dell’Unione europea — che non ha politica estera perché la fa la Nato, mentre si approssima il Ttip, il capestro del Trattato transatlantico sul commercio — tanto ha voluto e ottenuto il presidente Napolitano, in piena sintonia con il presidente del consiglio. Altro che «Stop di Napolitano, non vuole ’renzate’» (il titolo sbagliato del Fatto quotidiano).
Scelta dunque quasi indolore, ma il Pd di governo è solo tardodemocristiano (addio Ds). Comunque, ci piace immaginare che Napolitano abbia scelto Paolo Gentiloni perché all’inizio degli anni ’80 era responsabile esteri della rivista Pace e Guerra, che si batté contro i missili Usa a Comiso.
Macché.
In realtà bisognava nominare, in un governo del Presidente, un ministro di continuità, che ancor più oggi significa sostegno a guerre, più o meno «umanitarie», come prova di governance. Fino a diventare «guerra costituente» in Italia (dove nascondiamo 70 bombe atomiche tra Aviano e Ghedi). Con il presidente Giorgio Napolitano sostenitore di ogni scellerato intervento militare — guardate il risultato disastroso in Libia -, manomettendo l’articolo 11 della Costituzione che bandisce la guerra come mezzo di risoluzione delle crisi internazionali. Che precipitano ovunque e ormai approdano in carne ed ossa sulle nostre coste.
«Le vittime palestinesi di Hamas, i soldati ucraini alla pubblica gogna, gli yazidi costretti a convertirsi. Un mondo infame»: è il gentilonipensiero sprezzante sintetizzato in un suo recente messaggio su web. Certo, ha ragione, è un mondo infame.
Ma con troppe menzogne e amnesie. Perché Gentiloni dimentica le più di 2.200 vittime palestinesi dei bombardamenti israeliani e, anzi, ritiene responsabile Hamas di queste morti perché i bombardieri con la stella di David sarebbero la giusta e inesorabile punizione, la legge del taglione contro i civili.
Oppure il neoministro dimentica che i «soldati» ucraini in operazioni militari nel Donbass spesso sono milizie d’estrema destra integrate nella Guardia nazionale ucraina che ha ottenuto dal governo filoccidentale di Kiev e dal presidente Poroshenko benedetto da Ue e Usa, la celebrazione di Stato della nascita della milizia fascista Upa e del leader Bandera, filonazista e deportatore di ebrei; e dimentica altresì che i criminali jihadisti dell’Isis sono stati foraggiati e addestrati, con i qaedisti di Al Nusra e le truppe della coalizione anti-Assad, dagli «Amici della Siria» (Arabia saudita, Turchia, Stati uniti, Gran Bretagna e Italia).
Oggi i kurdi scendono in piazza in Italia a sostegno della resistenza di Kobane, e chiedono di riparare al torto di avere bandito come «terrorista» il Pkk, che combatte contro l’Isis e la Turchia, e la liberazione di Abdullah Ocalan, che l’Italia ha consegnato alle galere turche.
Solo accenni di un’agenda possibile, prima fra tutte la questione palestinese.
Basterebbe che il neoministro non dimenticasse che la Palestina è occupata militarmente da 47 anni, secondo due Risoluzioni Onu. Ora la Camera dei Comuni a Londra e più concretamente il governo svedese hanno riconosciuto lo Stato di Palestina. È l’ultima occasione per la pace, mentre Netanyahu rilancia ogni giorno nuove colonie che cancellano i palestinesi.
Che farà il neoministro, visto il silenzio assordante della diplomazia italiana sui massacri a Gaza di questa estate?
E che farà per la crisi ucraina prodotta dalla strategia d’allargamento della Nato a Est, ai confini russi, ben prima della rivolta di Majdan? Che farà il politico Paolo Gentiloni di fronte alle migrazioni di massa dei disperati in fuga anche dalle nostre guerre, che la nuova missione Ue Triton vuole affrontare come in una operazione militare di contenimento nonostante le tante bare di Lampedusa?
Allora, pace o guerra?