Eri­trea. Lo Stato prigione

Eri­trea. Lo Stato prigione

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In Eri­trea da anni domina uno dei regimi più vio­lenti al mondo. Il dit­ta­tore Isa­ias Afewerki, al potere dal 1993, non ha scru­poli con la popo­la­zione locale e con quanti cer­cano di scap­pare dal paese. Chi sta con lui vive, chi lo con­te­sta muore o è costretto a fug­gire. Ricor­dare la vio­lenza di que­sta dit­ta­tura è utile in vista della con­fe­renza mini­ste­riale orga­niz­zata dal vice­mi­ni­stro per gli Affari Esteri Lapo Pistelli per oggi e domani a Roma con lo scopo di lan­ciare il Pro­cesso di Khar­toum: un dia­logo raf­for­zato tra i paesi afri­cani e l’Ue per impe­gnarsi sulla gestione delle migra­zioni. Alla con­fe­renza pren­de­ranno parte i rap­pre­sen­tanti dei paesi di ori­gine e tran­sito della Horn of Africa Migra­tory Route, la prin­ci­pale rotta migra­to­ria verso l’Europa, tra i quali uno del governo eri­treo. In con­co­mi­tanza, il Comi­tato Giu­sti­zia per i nuovi desa­pa­re­ci­dos ha con­vo­cato per domani una con­fe­renza stampa alla Camera dei depu­tati per denun­ciare le morti di migranti nell’area medi­ter­ra­nea, rico­struire la verità, san­zio­nare i respon­sa­bili e ren­dere giu­sti­zia a vit­time e fami­liari. A par­tire da quelle del regime eri­treo. I por­ta­voce del Comi­tato, tra cui Enrico Cala­mai, chie­dono che il Pro­cesso di Khar­toum non impe­di­sca all’Italia di con­dan­nare Afewerki e di soste­nere il popolo eri­treo, vit­tima di una dit­ta­tura che ha can­cel­lato ogni libertà, tutti i diritti civili e poli­tici, qual­siasi ten­ta­tivo di oppo­si­zione.
Le ultime ele­zioni si sono svolte nel 1994 men­tre la costi­tu­zione, appro­vata nel 1997, non è mai stata appli­cata. Dal 2001 sono agli arre­sti una quin­di­cina tra mini­stri, fun­zio­nari e alti uffi­ciali dell’esercito, senza essere com­parsi davanti a un giu­dice per cono­scere almeno le accuse a loro carico. E nume­rosi gior­na­li­sti, lea­der reli­giosi, poli­tici, obiet­tori di coscienza, sem­plici cit­ta­dini, sono scom­parsi in pri­gione, spesso senza pro­cesso. Secondo Amne­sty Inter­na­tio­nal sono almeno 10mila i pri­gio­nieri poli­tici eri­trei rin­chiusi nelle car­ceri di Asmara, alcuni anche da vent’anni. Lager in realtà, non sem­plici pri­gioni. Come ad Eiraeiro, dove molti sono morti durante la car­ce­ra­zione, come i gior­na­li­sti Dawit Isaak (cit­ta­dino sve­dese oltre che eri­treo) e Yohan­nes Fes­shaye, del quale non si cono­sce nem­meno l’anno pre­ciso del decesso. Vige nel paese inol­tre la leva mili­tare obbli­ga­to­ria fino al 50esimo anno per gli uomini e al 40esimo per le donne. Gli eri­trei di que­sta età non pos­sono espa­triare e molti, quindi, fug­gono ille­gal­mente, spesso morendo nel Medi­ter­ra­neo o lungo il deserto, quando non diven­tano prede di traf­fi­canti di esseri umani che, come denun­ciato dalle Nazioni unite, sono col­lusi con l’establishment mili­tare.
Secondo il The human traf­fic­king cycle: Sinai and beyond della gior­na­li­sta eri­trea Meros Este­fa­nos redatto con van Rei­sen e Rij­ken dell’università olan­dese di Til­burg, sareb­bero circa 30 mila le per­sone impri­gio­nate, tra il 2009 e il 2013, da clan di beduini. Que­sti rapi­scono i pro­fu­ghi in fuga dall’Eritrea, insieme a suda­nesi ed etiopi, per otte­nere un riscatto pas­sato in pochi anni da mille dol­lari a per­sona a 30–40 mila. Il giro d’affari è di circa 622 milioni di dol­lari, 453 milioni di euro. Le vit­time sono soprat­tutto gio­vani eri­trei (circa nove su dieci, secondo il rap­porto) e spesso ven­gono dai campi pro­fu­ghi in Sudan o dal campo mili­tare di Sawa. I seque­stra­tori sono invece mili­tari eri­trei che gesti­scono i campi di adde­stra­mento e che li ven­dono ai traf­fi­canti di uomini. Que­sti ope­rano lungo la fron­tiera Sudan-Eritrea e appar­ten­gono alle stesse bande di pre­doni, legate a orga­niz­za­zioni inter­na­zio­nali del cri­mine, che per anni, nel Sinai, hanno seque­strato, ricat­tato, tor­tu­rato e spesso ucciso migliaia di per­sone che ten­ta­vano di var­care il con­fine tra Egitto e Israele.

Un busi­ness mafioso
La loro pre­senza ai mar­gini del con­fine set­ten­trio­nale eri­treo è la pro­se­cu­zione dello stesso busi­ness mafioso, gio­cato sulla vita di chi cerca di evi­tare guerre e per­se­cu­zioni. L’unica dif­fe­renza è che le basi ope­ra­tive dei vari clan si sono tra­sfe­rite dal deserto del Sinai in Sudan, e che ai vec­chi clan di pre­doni si sono aggiunti gruppi di ter­ro­ri­sti che fanno del traf­fico di uomini una lucrosa fonte di finan­zia­mento. Una spinta deci­siva in que­sta dire­zione è arri­vata dalla costru­zione della bar­riera che ha blin­dato nel deserto la fron­tiera israe­liana. La con­se­guenza non è stata la fine del flusso cre­scente di pro­fu­ghi ma solo il suo spo­sta­mento. I primi segnali si sono avuti con la pre­senza di emis­sari dei mer­canti di morte intorno o addi­rit­tura all’interno dei campi pro­fu­ghi suda­nesi: per­so­naggi senza scru­poli che si pro­pon­gono come inter­me­diari per la tra­ver­sata del Sahara verso la Libia o addi­rit­tura rapi­scono nei campi le loro vit­time per ven­derle alle varie bande orga­niz­zate. Que­sto sistema cri­mi­nale si è rami­fi­cato intorno ai con­fini con l’Etiopia e con­trolla sia la fron­tiera che il suo retro­terra, inter­cet­tando e seque­strando un numero cre­scente di pro­fu­ghi. L’ultima con­ferma viene da un epi­so­dio recente: almeno 15 ragazzi, tra i 20 e i 23 anni, sono stati cat­tu­rati da pre­doni armati a pochi chi­lo­me­tri dal con­fine, men­tre ten­ta­vano di rag­giun­gere il campo di Sha­ka­rab o di pro­se­guire verso Khar­toum. La loro sorte è stata segna­lata all’agenzia Habe­shia dalla fami­glia di uno del gruppo; un ven­tenne che, come i suoi com­pa­gni, ha diser­tato dall’esercito eri­treo. Il ragazzo è riu­scito a con­tat­tare un fami­liare attra­verso il cel­lu­lare mes­so­gli a dispo­si­zione dai rapi­tori per chie­dere il riscatto: 15 mila dol­lari. Una cifra ine­si­gi­bile. «Pian­geva e urlava di dolore – ha rac­con­tato il fami­liare – per­ché durante la tele­fo­nata lo pic­chia­vano e lo tor­tu­ra­vano per ren­dere più con­vin­centi le sue parole…». Lui stesso ha rac­con­tato come è stato rapito e che erano una quin­di­cina, inca­te­nati l’uno all’altro, chiusi in una pic­cola casa nel deserto. Se la fami­glia non riu­scirà a pagare la sua libe­ra­zione sarà ven­duto ad un’altra banda e poi ad un’altra ancora, con cre­scita del riscatto ad ogni pas­sag­gio e la minac­cia finale di pas­sarlo ai traf­fi­canti di organi per i tra­pianti clandestini.

Ricatti alle famiglie

Anche le fami­glie di chi fugge subi­scono con­ti­nue ritor­sioni; i geni­tori o i parenti di primo grado pos­sono essere arre­stati e obbli­gati a pagare una multa ele­va­tis­sima. Un modo per l’Eritrea di rime­diare risorse per la pro­pria soprav­vi­venza: è la cosid­detta dia­spora taxa­tion. Ogni eri­treo all’estero deve ver­sare il 2% del pro­prio red­dito al regime; una tassa pagata alla dit­ta­tura pro­prio da chi fugge da essa e cerca di rico­struirsi una vita. Il regime di Asmara liquida come pro­vo­ca­zioni le con­te­sta­zioni che si mol­ti­pli­cano in Eri­trea e all’estero tra le migliaia di rifu­giati della dia­spora e parla di con­giura inter­na­zio­nale per giu­sti­fi­care la pro­gres­siva crisi del paese. Intanto la povertà domina.

L’Eritrea è uno dei paesi più poveri al mondo. Il pil pro capite è di 792 dol­lari l’anno. La care­stia che ha inve­stito il Corno d’Africa nel 2010 è stata deva­stante. Ma il regime ha negato l’emergenza e rifiu­tato gli aiuti inter­na­zio­nali per ragioni poli­ti­che e di pre­sti­gio, con­dan­nando la popo­la­zione a sof­fe­renze enormi. La dit­ta­tura è accu­sata anche di armare i gruppi fon­da­men­ta­li­sti che ope­rano nel Corno d’Africa. Hil­lary Clin­ton, allora segre­ta­rio di stato ame­ri­cana, ne ha par­lato fin dal 2008–2009, con rife­ri­mento agli estre­mi­sti isla­mici di Al She­baab, il movi­mento legato ad Al Qaeda che opera in Soma­lia e vicino al calif­fato dell’Isis. Il mede­simo gruppo che ha attac­cato recen­te­mente un auto­bus pub­blico a Man­dera, nel nord del Kenya, ucci­dendo 28 per­sone e feren­done molte altre. La stessa con­te­sta­zione è stata mossa ad Asmara da tutti gli Stati del Corno d’Africa. La Sve­zia, invece, ha inse­rito nella lista dei per­so­naggi da per­se­guire il pre­si­dente Afewerki e alcuni suoi mini­stri. La Chiesa eri­trea ha denun­ciato dura­mente l’attuale situa­zione con una corag­giosa let­tera pasto­rale fir­mata da tutti i vescovi. Inol­tre, il Con­si­glio delle chiese, riu­ni­tosi a Gine­vra nel luglio scorso, ha fatto pro­prie le posi­zioni dei vescovi eri­trei e pro­te­stato con­tro l’arresto e deten­zione ai domi­ci­liari, dal 2004, del patriarca Anto­nio.

L’Eritrea è stata dun­que iso­lata da quasi tutti i governi demo­cra­tici. L’incontro del 28 novem­bre potrebbe essere l’occasione per un impe­gno reale dell’Italia con­tro il dit­ta­tore e in favore della popo­la­zione eri­trea. A patto di usare quel pal­co­sce­nico per com­bat­tere al fianco di un popolo oppresso e supe­rare pic­coli e grandi inte­ressi che varie aziende ita­liane con­ti­nuano ad avere con la dit­ta­tura. Ma que­sto è un altro capi­tolo che affron­te­remo a breve.



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2 comments

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  1. Walter Castaldo
    Walter Castaldo 29 Novembre, 2014, 11:01

    Articolo ricco di imprecisioni, tipico del “sentito dire” e non dell’appurato in loco. La situazione in Eritrea non è altro della sfacciata politica italiana in alleanza con gli U.S.A. , piloti della politica etiopica. Per essere obiettivi, è indispensabile narrare tutte le circostanze storiche dal 1935 ad oggi e non soffermarsi a quell’attualità tra l’altro descritta in modo falsato (p.e. una per tutte, sul servizio militare).

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  2. daniel wedi korbaria
    daniel wedi korbaria 3 Dicembre, 2014, 21:04

    Cari compagni de Il Manifesto,
    innanzitutto mi scuso per l’appellativo “compagni” visto il tono e il contenuto tipicamente d’oltreoceano con cui continuate a scrivere i vostri pezzi sul mio Paese progressista: l’Eritrea.
    Da ex appassionato vostro lettore, vi scrivo per l’ennesima volta sperando di ricevere una risposta, se non altro perché conservo ancora come una reliquia una copia de Il Manifesto da 50 mila lire, pagata all’epoca con il salario di una giornata di lavoro. Allora credevo di aiutare un giornale fuori dal coro, non volevo che chiudesse un giornale che aveva il coraggio di scrivere ciò che altri non osavano, un giornale di grandi firme. Oggi non lo farei più e vi dico il perché.
    Sebbene non fosse la prima volta, sulla vostra testata del 26 novembre 2014 è apparso un articolo infamante dal titolo: Uno Stato Prigione di Marco Omizzolo e Roberto Lessio, due giornalisti a quanto pare affetti da una malattia incurabile e contagiosa quale quella di scrivere dei problemi di un paese africano “per sentito dire” e per “copia incolla”.
    Anch’io so, per sentito dire, che un buon giornalista è tale quando prima di mettere nero su bianco alcunché, attenendosi alla deontologia, si informa adeguatamente e verifica le notizie di persona possibilmente recandosi sul luogo. Invece, ahimè, così non è purtroppo!
    Senza muoversi dal proprio ufficio italico i vostri giornalisti informano o meglio disinformano il lettore con argomenti oramai datati (risalenti al 2007) e di cui si è già ampiamente dimostrata l’infondatezza. Guardano il dito che indica la luna, guardano ai giovani eritrei che arrivano sulle coste italiane per scappare da uno stato prigione. E la luna?
    Se avete l’umiltà, cari compagni, ve la mostro io la luna.
    Da molti anni l’Eritrea vive accerchiata, combattendo in solitaria una nuova guerra mediatica dove al posto dei proiettili vengono utilizzate parole al veleno, informazioni menzognere, demonizzazioni della sua politica e della sua leadership. E queste infamanti informazioni sono ordite dagli eterni storici nemici dell’Eritrea: l’Etiopia che ancora sogna di riannetterla e gli Usa. L’uso che questi ultimi farebbero del nostro incontaminato territorio si può immaginare facilmente.
    Finora, le loro “verità costruite a tavolino” hanno portato ripetutamente a ingiuste sanzioni delle Nazioni Unite con le più assurde accuse come quella di finanziare il terrorismo somalo.
    Dopo lunghi anni ed estenuanti indagini, finalmente, il Gruppo di Monitoraggio Eritrea-Somalia proprio il 14 ottobre 2014 ha dichiarato di non aver trovato nessuna prova che l’Eritrea abbia aiutato Al Shabbab. Un’informazione utile che i vostri giornalisti copia incolla non hanno menzionato.
    Il Manifesto, storicamente una voce fuori dal coro, oggi aderisce invece a questa gigantesca macchina propagandistica imperialista continuando ad infangare quella terra preziosa che è costata centinaia di migliaia di vite. Il Manifesto sposa le teorie di chi ci descrive come dei malvagi comunisti, una sorta di Corea del Nord africana, anzi peggio.
    Eppure quante ne avete sentite durante la guerra fredda di queste diavolerie mediatiche? Prima o poi diranno che anche noi eritrei mangiamo i bambini, occhio!
    E l’arma migliore che i nostri nemici d’oltreoceano stanno usando è quella dei diritti umani. Hanno sguinzagliato tutte le loro “Agenzie umanitarie” per accusare il Governo eritreo di negare i diritti umani fondamentali a noi eritrei ignorando che per quegli stessi diritti l’Eritrea ha lottato per 40 anni. È il fatto che vogliamo essere noi eritrei a decidere la nostra politica e non le Ong che ci fa risultare antipatici agli occhi di quell’Occidente così “benevolo e benefattore”.
    L’Eritrea è convinta di farcela con le proprie sole forze, crede nell’autodeterminazione e nell’autosufficienza, crede di potersi riscattare dai soliti problemi che affliggono il continente africano senza quegli aiuti “umanitari” che invece di risolvere i problemi li peggiorano.
    Come altri cittadini eritrei, orgoglioso di questi ideali, anche io contribuisco con il 2% del mio stipendio e lo faccio anche quando non lavoro. È il minimo che posso fare per la mia Eritrea, dato che parenti, amici e conoscenti per lei hanno dato la propria vita.
    E nonostante le Ong tifino contro, con le sue sole forze l’Eritrea ha quasi raggiunto tutti gli otto Obiettivi del Millenio. E non lo dico io ma lo dichiara l’UNDP (un’altra preziosa informazione che i vostri giornalisti copia incolla ignorano di menzionare).
    Allora perché migliaia di giovani scappano dall’Eritrea? Perché li vediamo arrivare in Italia con mezzi di fortuna mettendo a rischio la propria vita?
    Se tralasciamo i visti non concessi dalle ambasciate europee a chi ha diritto al ricongiungimento familiare, che comunque hanno inciso con l’esodo in maniera importante, un altro motivo è quello del servizio militare prolungato.
    Purtroppo quando c’è la costante minaccia etiopica di un’invasione, quando ci sono dei territori eritrei illegalmente occupati da forze nemiche nonostante la EEBC dell’Onu (Commissione per i confini Eritrea-Etiopia) avesse assegnato quei territori in modo definitivo all’Eritrea già dal 2002, quando vige una situazione di no guerra-no pace non si può pensare di mettere giù le armi e abbandonare il confine.
    Gli USA che da una parte intimano alla Russia di lasciare i territori ucraini “occupati” dall’altra non vogliono che il loro alleato Etiopia faccia altrettanto con quelli eritrei: due pesi e due misure.
    Voler difendere la propria sovranità non è sinonimo di dittatura.
    Lo stesso Governo danese, che qualche anno fa si schierava contro il Governo eritreo, quando si è visto invaso da troppi richiedenti asilo ha mandato i suoi esperti in Eritrea per verificare la cosa e, solo dopo un’accurata indagine, è arrivato ad una sentenza. È proprio di questi giorni un documento della Danish Immigration Service che conclude dicendo che il 99% dei richiedenti asilo eritrei sono motivati da cause di tipo economico e che le accuse di mancanza di diritti umani siano delle esagerazioni da attribuire alle Ong dei Diritti Umani che non hanno mai messo piede in Eritrea. Chapeau ai danesi! Eppure non mi risulta siano simpatizzanti comunisti…
    È noto che i giovani eritrei arrivati con i barconi siano stati attratti dall’accoglienza proficua che i paesi del nord Europa riservavano per loro, per questo sceglievano di non fermarsi in Italia che gli offriva ben poco.
    In effetti, riconoscere lo status di rifugiato ai soli eritrei ha causato molti danni. Il primo fra tutti nei confronti dell’Eritrea stessa: un paese senza più giovani è facilmente attaccabile.
    Che questo fosse un progetto politico non vi sono dubbi in quanto il Presidente Obama in un discorso pubblico tenutosi alla Clinton Global Initiative del 2009 minacciava di svuotare l’Eritrea della sua gente per indebolirne il suo Governo, (il video si trova facilmente su Youtube).
    Nel frattempo Human Rights Watch dava disposizione alle sedi delle UNCHR in Etiopia e Sudan di non ostacolare i rifugiati eritrei dicendo: “Fate in modo che possano accedere facilmente alle vostre strutture”.
    Ovviamente, altri africani che scappavano da situazioni ben più gravi di quelle eritree, conoscendo questa “discriminazione” si sono dichiarati eritrei e, con la complicità di interpreti etiopici, sono passati per l’Italia molti etiopici, somali, sudanesi e addirittura kenioti facendo lievitare il numero dei rifugiati eritrei. Ciò non cambia comunque la situazione.
    Per concludere, cari compagni de Il Manifesto, a me sembra che tranne a voi, è oramai chiaro a tutti il funzionamento della campagna mediatica di demonizzazione di un paese.
    Bisogna parlar male del “demonio di turno” fino a quando l’opinione pubblica non ne possa più e così legittimi la distruzione di un leader e di un intero paese. A meno che anche voi non siate convinti che Saddam Hussein avesse veramente le armi di distruzione di massa!
    Forse inconsapevolmente anche voi state partecipando a questo gioco al massacro pronti con i vostri giornalisti copia incolla a giustificare altri caos nel mondo. Anche la vostra voce si è unita al coro e secondo me, passatemi il termine, vi siete Cnn-izzati. Buon pro vi faccia! E come cantava il buon De Andrè: “Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti.”
    Una volta condividevo le vostre idee di sinistra rivoluzionaria “non russa” ma da allora ne avete fatta di strada, siete finiti per assomigliare alla destra americana oltranzista il che più che disgustarmi mi preoccupa molto.
    Cordialità,
    Daniel Wedi Korbaria

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